Questo della frontiera è un tema che mi appassiona. Risucchiati dalle attività di tutti i giorni, sempre più spesso dimentichiamo di sognare. Ci stanziamo nelle praterie delle nostre abitudini (le “aree di conforto” della nostra coscienza), dove pensiamo che la terra sia sufficientemente fertile per sostentarci, e smettiamo di pensare che - forse - appena qualche chilometro più avanti - forse - c’è un nuovo panorama che ci aspetta. Sarà quel “forse” a spaventarci, sarà la stanchezza della routine a soffocare le nostre aspirazioni, sarà la pigrizia, sarà quel che sarà. Fatto sta che addormentiamo le nostre coscienze, in attesa di qualche evento miracoloso che solo può farci alzare lo sguardo, ma che probabilmente non arriverà mai.
Io sogno. Non voglio dire che mi balocco rincorrendo desideri irrealizzabili - magari solo qualche volta. Voglio dire che desidero: non ho ancora disimparato a farlo. Certo, prima di tutto i miei desideri riguardano i miei figli, dei quali spero uno sviluppo sano ed armonico. Poi spero nella salute dei miei cari, genitori primi tra tutti, fratelli, nipoti, amici.
Poi, però, sogno anche cose che mi riguardano più direttamente. Una casa al lago, una compagna con la quale tornare a vivere in armonia, una vita tranquilla ma nella quale potermi sentire “vivo”. “Speriamo che la morte mi colga da vivo”, è un aforisma che ho letto una volta e sul quale sono molto d’accordo. Spero di riuscire a vivere ancora per un po’ “da vivo”. Work in progress.

Grazie alle Vale per le nuvole che mi ha portato da Londra.
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