31 gennaio 2006

Istantes (J. L. Borges)

Si pudiera vivir nuevamente mi vida
en la proxima trataria de cometer mas errores.
No intendaria ser tan perfecto...
me relajaria mas.


Seria mas tonto de lo que he sido;
De hecho tomaria muy pocas cosas con seriedad.
Seria meno higienico.

Correria mas riesgos,
haria mas viajes,
contemplaria mas atardeceres,
subiria mas montagnas,
nadaria mas rios.

Iria a mas lugares adonde nunca he ido;
comeria mas helados y menos habas;
tendria mas problemas reales y menos imaginarios.

Yo fui de esas personas que vivio sensata y prolificamente
cada momento de su vida; claro que tuve momentos de alegria.
Pero si puderia volver atras trataria de tener solamente buenos momentos.
Por si no saben, de eso esta hecha vida, solo demomentos; no te pierdas el ahora.

Yo era uno de esos que nunca iban a ninguna parte sin un termometro,
una bolsa de agua caliente, un paraguas y unparacaidas.

Si pudiera volver a vivir,
comenzaria a andar descalzo a principios de primavera
y seguiria asi' hasta concluir el otono.


Daria mas vueltas en calesita,
contemplaria mas amaneceresy jugaria con mas ninos,
si tuviera otra vez la vida por delante.


Pero ye ven, tengo 85 anos y se que me estoy muriendo...



Jorge Luis Borges (1899-1986)

Vino Poesia O Virtù.. (Charles Baudelaire)

"Bisogna sempre essere ubriachi.
Tutto qui: è l'unico problema. Per non sentire l'orribile fardello del Tempo che vi spezza la schiena e vi tiene a terra,dovete ubriacarvi senza tregua. Ma di che cosa? Di vino, poesia o di virtù: come vi pare. Ma ubriacatevi. E se talvolta, sui gradini di un palazzo, sull'erba verde di un fosso, nella tetra solitudine della vostra stanza, vi risvegliate perchè l'ebbrezza è diminuita o scomparsa,
chiedete al vento , alle stelle , agli uccelli, all'orologio, a tutto ciò che fugge, a tutto ciò che geme, a tutto ciò che scorre, a tutto ciò che canta, a tutto ciò che parla, chiedete che ora è; e il vento, le onde, le stelle,gli uccelli, l'orologio, vi risponderanno: "E' ora di ubriacarsi! Per non essere gli schiavi martirizzati del Tempo, ubriacatevi, ubriacatevi sempre!
Di vino,di poesia o di virtù , come vi pare".

Stimolare la competitività (Altan per L'espresso, 18/8/2005)

30 gennaio 2006

Stefano Benni (1947-)

Genio della satira italiana, Stefano Benni è conosciuto per i brillanti e sapidi articoli che nell'arco della sua ormai lunga carriera sono periodicamente apparsi su vari quotidiani e periodici italiani. Da "Panorama" a "la Repubblica", da "il manifesto" a "MicroMega", passando dall'indimenticabile "Cuore", la sua produzione rappresenta un impietoso ritratto dei vizi e dei difetti dell'Italia degli ultimi decenni, con i suoi aspetti grotteschi e surreali, tali da superare talvolta le stesse capacità della satira.

Personaggio assai schivo e riservato Stefano Benni si concede pochissimo ai media così come rarissime sono le sue interviste, per non parlare delle apparizioni televisive. Nato il 27 gennaio 1947 ha iniziato a pubblicare alcune delle migliori opere della narrativa italiana negli anni '80 e '90.

Presso l'editore Feltrinelli, dopo la raccolta di poesie satiriche "Prima o poi l'amore arriva" (1981), è la volta del romanzo satirico-fantascientifico "Terra!" (1983), che lo pone all'immediata attenzione della critica europea. Dopo la parentesi de "I meravigliosi animali di Stranalandia" (1984) con i disegni di Pirro Cuniberti, torna al romanzo più impegnato con "Comici spaventati guerrieri" (1986), una critica neanche tanto velata della condizione urbana. I lavori seguenti sono una continua crescita con la composizione di opere di carattere fantastico fortemente legate alla situazione politica e sociale contemporanea.

Tra gli altri suoi libri: "L'avventura", "Baol", "Una tranquilla notte di regime", "La compagnia dei celestini", "Spiriti", "Saltatempo" (Premio Bancarella 2001), "Elianto", "Dottor Niù", "Achille piè veloce", "Margherita Dolcevita" (2005); le raccolte di racconti (oltre al già citato "Il bar sotto il mare"), "L'ultima lacrima", "Bar sport", "Bar sport duemila" e le raccolte di brani teatrali "Teatro" e "Teatro2"; le raccolte di poesie "Ballate" e "Blues in sedici" (oltre al già citato "Prima o poi l'amore arriva") .

Per approfondimenti:
http://biografie.leonardo.it/biografia.htm?BioID=770&biografia=Stefano+Benni
http://www.feltrinelli.it/SchedaAutore?id_autore=194054

29 gennaio 2006

Il fungo "semipiaci" (Stefano Benni, 1983)

(…) Ed ecco che quattro camerieri portarono sul tavolo una massiccia zuppiera d’oro. Il maitre batté le mani con solennità.
“Signori! Vi devo spiegare brevemente qual è il modo di mangiare il fungo ‘semipiaci’. Questo fungo è dotato di un… diciamo così, carattere un po’ particolare. Egli si può presentare in tre forme. Io ora scoperchierò la zuppiera: il fungo vi apparirà di un colore bianco, neutrale. Così non ha alcun gusto. Ma se voi gli siete antipatici (uso questo termine impropriamente, perché evidentemente si tratta solo di una particolare sensibilità delle sue spore), ebbene, se gli siete antipatici, diventerà verde, grinzoso e molliccio, e non lo potrete mangiare, perché sarà velenoso come poche cose nell’universo. Se invece gli piacete, il fungo si accenderà di un bel colore rosso e giallo, e sarà un boccone squisito, quale forse non avete mai gustato!”.
“Incredibile,” disse Kook, “e cosa bisogna fare per essergli simpatici?”
“Nulla,” disse il maitre, “il fungo decide di testa sua… o di cappella sua, mi si passi la betise. Voilà, madame e messieurs, il fungo ‘semipiaci’!”
Sul piatto apparve un bellissimo fungo candido e panciuto, una decina di chili almeno. Ruotò un po’ sul gambo esaminando i commensali. Poi cominciò a coprirsi di sfumature arancioni, il gambo s’illuminò di rosso, e in pochi istanti il fungo diventò meravigliosamente colorato. I camerieri applaudirono.
“Complimenti, signori!” disse il maitre, “siete piaciuti al fungo. Ora, non ne dubito, sarà lui a piacere a voi!”
“Già, naturalmente,” disse Caruso, con la forchetta a mezz’aria, “su, comincia ad assaggiare tu, Chulain.”
“Come no! Non capita tutti i giorni di mangiare un fungo a cui sei simpatico… quindi… direi di cominciare da qua… o da qua…” il negro avvicinò il coltello al fungo, senza decidersi.
“Sentite ragazzi, io non mi intendo di funghi, taglialo tu, Kook.”
“No,” disse subito Kook, “io, ecco, mi ero dimenticato di dirlo, ma da piccolo feci una indigestione di funghi chiodini… non posso assolutamente mangiarne… Mei, comincia tu.”
“Eh no!” disse Mei, “mi dispiace, ma non posso accoltellare chi mi ha appena manifestato la sua simpatia.”
“Devo dedurre,” intervenne il maitre, “che non volete mangiare il fungo?”
“No,” disse Chulain, “gli siamo simpatici, come possiamo tradire così la sua fiducia?”
“Bene, signori, non avevo dubbi,” concluse il maitre, “perché, vedete, il fungo ‘semipiaci’ ha una particolarità. Diventa verde e velenoso in presenza di persone malvage e voraci. Diventa colorato e gustoso in presenza di persone dotate di dolcezza e sensibilità. E certamente, nessuna persona sensibile potrà mangiare un fungo che gli ha dimostrato tanta simpatia.”
“E quindi?” disse Mei.
“Quindi, è per questo che il fungo ‘semipiaci’ è un piatto così raro. Perché nessuno lo ha mai mangiato. Quelli che avrebbero voluto non hanno potuto, e viceversa. Questo fungo è la specialità del locale da 50 anni, e non lo abbiamo mai cambiato. Un dessert, signori?” (...)


Da “Terra!” di Stefano Benni (1983)

28 gennaio 2006

Ho scritto amore (Alessandro- si, proprio io - 1995)

Ho scritto amore
sopra i vetri appannati
e i colori sfocati
della mia solitudine.

Ho scritto amore
sopra i sogni annebbiati
ed i muri scrostati
della mia inquietudine.

Ho visto amore
nei tuoi occhi incantati
e nei cuori affannati
della nostra libidine.

T’ho vista un giorno
che facevi l’amore
col mio amico Questore
dentro il nostro ascensore.

Hai scritto “scusa...”
sullo specchio molato
col rossetto pregiato
da me un di’ regalato.

Ora rifletto
seduto sul letto
e un dubbio m’attanaglia:
avrai mica la coda di paglia?

E mi domando
perplesso pensando
perché Dolce Amore
a me in ascensore
non l’hai data mai?

27 gennaio 2006

Io ti amo, e se non ti basta (Benni, 1995)

Io ti amo
e se non ti basta
ruberò le stelle al cielo
per farne ghirlanda
e il cielo vuoto
non si lamenterà di ciò che ha perso
che la tua bellezza sola
riempirà l'universo

Io ti amo
e se non ti basta
vuoterò il mare
e tutte le perle verrò a portare
davanti a te
e il mare non piangerà
di questo sgarbo
che onde a mille, e sirene
non hanno l'incanto
di un tuo solo sguardo

Io ti amo
e se non ti basta
solleverò i vulcani
e il loro fuoco metterò
nelle tue mani, e sarà ghiaccio
per il bruciare delle mie passioni

Io ti amo
e se non ti basta
anche le nuvole catturerò
e te le porterò domate
e su te piover dovranno
quando d'estate
per il caldo non dormi
E se non ti basta
perché il tempo si fermi
fermerò i pianeti in volo
E se non ti basta
vaffanculo

Stefano Benni, dalla Smemoranda del 1995




Nell'immagine un Maramito, Pappagatto di Stranilandia

26 gennaio 2006

if i love You (Cummings, 1931)

se ti amo
(con consistenza pari
ad interi mondi abitati da
fate vagabonde e severe e leggiadre
se tu mi
ami) la distanza è solo una mente con cura
illuminata dagli innumerevoli gnomi
d'un mondo perfetto

se ci amiamo (oh, timidamente)
quel che fanno le nuvole od i fiori
silenziosi raffigura la bellezza
molto meno del nostro respiro


Da "W (VIVA)", 1931

25 gennaio 2006

Non partire, mio amore, senza avvertirmi (Tagore, 1913)

Non partire, mio amore, senza avvertirmi.
Ho vegliato tutta la notte e ora i miei occhi
sono pesanti di sonno.
Ho paura di perderti mentre dormo.
Non partire, amore mio, senza avvertirmi.

Mi sveglio e stendo le mani per toccarti. Ti sento
e mi domando: “È un sogno?”
Oh, potessi stringere i tuoi piedi con il mio cuore
e tenerli stretti al petto!
Non andartene, mio amore, senza avvertirmi.

Da Il Giardiniere, 1913

24 gennaio 2006

Rabindranath Tagore (1861-1941)

NOTE BIOGRAFICHE

Rabindranath Tagore è il nome anglicizzato di Rabíndranáth Thákhur (रवीन्द्रनाथ ठाकुर) (Calcutta, 6 maggio 1861- 7 agosto 1941) scrittore, poeta, drammaturgo e filosofo indiano.

Nacque a Calcutta nel 1861 e morì a Santiniketan, Bengala nel 1941. La sua era una ricca famiglia di intellettuali (il padre era filosofo) e lui venne mandato in Gran Bretagna per studiare diritto. Tornò in India nel 1878 e qui si affermò come il maggior scrittore dell'era coloniale, pubblicando una vastissima opera che comprende saggi, romanzi, racconti, drammi, diari di viaggio. Fu poeta impegnato, a carattere sociale e politico, nonché scrittore di brani musicali, di danza indiana e perfino pittura. Il suo grande amore per il sapere, e il sogno di un mondo dove le diverse tradizioni culturali possano convivere ed arrichirsi recirpocamente, lo spinsero a fondare una scuola a Santiniketan, un luogo dove le lezioni, impartite all'aperto, si svolgevano in forma di conversazione fra allievi e maestri, all'insegna del multi-culturalismo.

Nel 1883 sposò la giovanissima Mrinalini Debi.
Nel 1913 gli venne conferito il premio Nobel per la letteratura (grazie ad una raccolta di liriche amorose del 1910, "Offerta di canti").
Nell'arco di una vita segnata da incolmabili lutti (in pochi anni perderà il padre, la moglie e due figli), Tagore scrisse circa duemila liriche, centinaia di poemetti e ballate, otto romanzi, undici volumi di novelle, drammi, libri di memorie e di viaggi, saggi di filosofia e pedagogia.




Nel 1915 incontrò per la prima volta Gandhi con il quale, nonostante le divergenze politiche, strinse un'amicizia profonda e duratura.
Era noto anche con il nome di Gurudev.




Le sue opere, scritte originariamente in bengali e in parte tradotte in inglese dall'autore stesso, sono pervase da un profondo amore per la natura e da una religiosità di matrice panteista. Tra i suoi capolavori, La casa e il mondo, Il giardiniere e Gitanjali.

Queste informazioni sono visibili in parte qui:
http://it.wikipedia.org/wiki/Rabindranath_Tagore

23 gennaio 2006

I Gormiti

Siamo M. e G. e volevamo parlare dei Gormiti, che sono 5 popoli di mostri, Signori della Natura: terra, aria, acqua, foresta e vulcano. A noi piacciono molto. Quello qui a fianco è un Gormito della terra.





Questo è un Gormito dell'aria.

Una gita a Santa Caterina del Sasso Bàllaro

A mio parere - e di certo nei miei ricordi - Santa Caterina del Sasso è di gran lunga il luogo più ricco di bellezza e fascino di tutta la sponda lombarda del lago Maggiore.

Si può raggiungere in macchina da Angera, proseguendo in direzione di Ispra/ Leggiuno: prima di arrivare a Reno troverete una strada sulla sinistra, che vi porterà al parcheggio dove inizia la discesa a zig zag verso l’eremo di Santa Caterina, qualche centinaio di gradini più in basso.

Ma è tutta un’altra storia se arrivate in battello, stagione permettendo. L’avvicinamento al monastero avverrà poco per volta, svelandovi istante dopo istante nuovi dettagli e stupefacenti particolari di questo gioiello incastonato tra le rocce a picco sull’acqua. Il minuscolo porticciolo dove attraccherete è stato l’unico modo per accedere al monastero nei primi secoli della sua esistenza. Potete trovare gli orari dei battelli su www.navigazionelaghi.it/

La leggenda della nascita del santuario è narrata da Piero Chiara ne “La stanza del Vescovo”.
(...) Durante la traversata raccontai a Matilde la storia del Beato Alberto Besozzi che si era fatto eremita alcuni secoli prima sulla roccia a picco di fronte a noi, dopo essere scampato all'annegamento durante un nubifragio, proprio nelle acque che stavamo navigando.
"Il Beato Alberto" dissi "prima del nubifragio era un mercante, o meglio un usuraio che andava facendo i suoi affari nei paesi del lago. Un giorno fu preso dalla tempesta e il suo navicello si rovesciò. Riuscì a raggiungere la riva a nuoto, al piede di quella parete rocciosa. Veniva da Intra, dove aveva guadagnato, speso, trovato donne, amici e nemici. Tornava a casa, dove forse aveva una moglie e dei figli. Il naufragio gli aprì gli occhi. Basta, deve aver detto, non ho più voglia di lottare. Sto qui a mangiare alborelle e insalata. Infatti non si mosse più dalla grotta nella quale si era rifugiato. I pescatori gli portavano il pesce, i contadini gli calavano la verdura dall'alto della rupe e nessuno gli rompeva le scatole. Certe volte" conclusi " penso anch'io di farmi eremita, di ritirarmi in qualche luogo remoto, fuori dalle contese e soprattutto dagli inganni del mondo". (...)

Secondo la leggenda, il Beato Alberto costruì una cappella dedicata a Santa Caterina, oggi visibile sul fondo della chiesa. La cappella, che risale al XII secolo, fu presto affiancata da altre due chiese, la cui esistenza è testimonata fin dal XIV secolo; la prima era dedicata a San Nicola (una parte fu poi utilizzata per costruire il transetto dell’edificio maggiore), la seconda a Santa Maria Nuova (di questa non resta più alcuna traccia). L’attuale aspetto degli edifici è dovuto agli interventi compiuti nel Cinquecento per unificare le tre chiese in un'unica costruzione.

Dal XIV al XVI secolo il monastero crebbe in importanza e ricchezza. Dal XVII secolo, ma soprattutto a partire dall’Ottocento, il complesso conobbe fasi di decadenza e abbandono, alternate a brevi periodi di maggiore prosperità. Oggi, dopo lunghi e complessi lavori di restauro e di consolidamento sostenuti dalla Provincia di Varese, il monastero, affidato alle cure di monaci (benedettini o domenicani, non ricordo), è tornato ad essere meta turistica e religiosa.

Il restauro ha valorizzato frammenti di affreschi molto belli e tutta l'articolata struttura architettonica, ma è la straordinaria collocazione nel paesaggio e la vista che si gode dalle sue balconate ciò che rende particolarmente affascinante questo monastero.


Entrando nell’eremo, si incontrano dapprima il convento meridionale (XIV-XVII secolo) con interessanti affreschi nella sala del camino, poi il conventino (XIII secolo) e infine la chiesa, che ingloba al suo interno la cappella di Santa Caterina.

L'ingresso alla visita è gratuito.

Bibliografia minima: Annie Veschambre - Lago Maggiore: Piemonte, Lombardia, Svizzera – Macchione Editore, Varese - 2003

Questo contributo è stato pubblicato anche su:
http://italia.wikicities.com/wiki/Santa_Caterina_del_Sasso_B%C3%A0llaro

22 gennaio 2006

Un pomeriggio in piscina

Sono M. Oggi sono stato in piscina con il papà. Mi piace andare in piscina, specialmente fare i tuffi, ma preferisco che il papà mi acchiappi al volo. Oggi ho nuotato tantissimo, anche senza braccioli e con la testa sott'acqua. Era proprio la prima volta che nuotavo senza braccioli dove non si tocca. Sembravo un gromito dell'acqua! Anche a G. piace nuotare, ma oggi non è potuto venire perché ha mal d'orecchie. Appena posso ci torniamo.

21 gennaio 2006

3 poesie brevi: prima, durante, dopo (Tagore, Saffo, Ungaretti)

FRAMMENTO 6

Vorrei sedermi vicino a te in silenzio,
ma non ne ho il coraggio: temo che
il mio cuore mi salga alle labbra.
Ecco perché parlo stupidamente e nascondo
il mio cuore dietro le parole.
Tratto crudelmente il mio dolore per paura
che tu faccia lo stesso.

RABINDRANATH TAGORE (1861-1941)


SEI GIUNTA

Sei giunta: hai fatto bene: io ti bramavo.
All'animo mio, che brucia di passione, hai dato refrigerio.

SAFFO (612-580 aC)






LA TUA LUCE

Scompare a poco a poco, amore, il sole
ora che sopraggiunge lunga sera.

Con uguale lentezza dello strazio
farsi lontana vidi la tua luce
per un non breve nostro separarci.

GIUSEPPE UNGARETTI (1888-1970)

20 gennaio 2006

i carry your heart with me (Cummings, 1958)

io porto il tuo cuore in me (lo porto nel
mio cuore)non lo lascio mai (ovunque
vado tu vai,cara:e quel che faccio
io da solo lo fai tu,tesoro mio)
non temo
fato(tu sei il mio fato,mia dolce) né
voglio il mondo (bella, mio mondo,mia fedele)
tu sei quel che luna sempre fu
e quel che un sole sempre canterà sei tu

qui sta il più grande segreto che nessuno sa
(qui l’intima radice e bocciolo e cielo
di un albero chiamato vita;che cresce
più alto di quanto anima speri e mente
celi) e questa meraviglia regge le stelle

io porto il tuo cuore (lo porto nel mio cuore)

Da “95 Poems”, 1958


Nell'immagine, un biglietto d'auguri che il poeta realizzò per la moglie Marion in occasione di un San Valentino.

19 gennaio 2006

somewhere i have never travelled (Cummings, 1931)





















in qualche luogo che non ho mai viaggiato, piacevolmente al di là
di qualsiasi esperienza, i tuoi occhi tacciono
nel tuo più fragile gesto ci sono cose che mi rinchiudono
o che mi sono talmente vicine da non poterle toccare

il tuo più tenue sguardo facilmente mi (ri)aprirà
benché abbia chiuso me stesso come dita
sempre mi apri petalo per petalo come la primavera apre
(toccando accortamente, misteriosamente) la sua prima rosa

o se il tuo desiderio fosse di chiudermi, io e
la mia vita ci (rin)serreremo davvero mirabilmente, improvvisamente
come quando il cuore di questo fiore immagina
la neve cautamente scendere ovunque,

nulla che possiamo percepire in questo mondo eguaglia
il potere della tua intensa fragilità; la cui struttura
mi sottomette con i colori delle sue regioni,
rendendo la morte e l’eternita’ con ogni respiro

(ed io non so quello che c'è in te che chiude
e apre; solo qualcosa in me comprende
che è più profonda la voce dei tuoi occhi di tutte le rose)
nessuno, neppure la pioggia ha così piccole mani

i like my body when it is with your (Cummings, 1925)

mi piace il mio corpo quand’è col tuo
corpo. È una cosa tanto nuova.
Muscoli meglio e nervi di più.

mi piace il tuo corpo. mi piace quello che fa,
e il come. mi piace sentire la sua spina
dorsale, le sue ossa e il tremolante
-liscio-sodo che bacerò
ancora, ancora e ancora
di te mi piace baciare questo e quello,
mi piace, lentamente accarezzare, il folto
elettrico pelo, e quel che viene a carne
che si separa... E occhi grandi briciole d’amore,

e forse mi piace il brivido

di sotto me te così nuova


Tratto da "& (AND)", 1925

Edward Estlin Cummings (1894-1962)

A giudicare dalla scarsa presenza delle sue citazioni nei siti italiani, E. E. Cummings non sembra essere molto conosciuto nel nostro paese. Eppure le sue poesie a me paiono tra le più belle ed emozionanti che io abbia letto. Ho perciò deciso di pubblicarne alcune tra quelle che preferisco in questo blog. Comincio però con qualche nota critica e biografica.


La critica
Dalla Nonintroduzione della traduttrice Mary de Rachewiltz ad un’antologia di poesie di E. E. Cummings, pubblicata da Einaudi nel 1987.

“ E. E. Cummings, invitato nel 1952 a tenere lezioni di poesia all’Università di Harvard, nella prima delle sue nonconferenze” [nonlectures] ”, citando la seguente frase dalle Lettere ad un giovane poeta di Rainer Maria Rielke: - Le opere d’arte sono di un’infinita solitudine; niente di peggio che la critica per avvicinarle. Solo l’amore può afferrarle, tenerle e giudicarle rettamente -, così si espresse: - Nella mia orgogliosa e umile opinione queste due frasi valgono tutta la sedicente critica d’arte che sia mai esistita o mai esisterà. Siate di diverso avviso quanto vi pare, ma non scordatele mai; se lo farete, avrete scordato il mistero che siete stati, il mistero che sarete, e il mistero che siete -. Irriverente, quindi, l’ipotesi di un’introduzione critica a Cummings: l’unico modo possibile è usare parole sue. - Sento che una poesia ha un significato diverso per ogni individuo: ma quale di questi significati può essere chiamato quello vero, non so. Posso dirvi solo ciò che una data poesia significa per me -. “


Più oltre, in merito alle stravaganze tipografiche delle sue liriche, la traduttrice cita ancora l’autore.
“ - Con poche eccezioni, le mie poesie sono essenzialmente pitture -. Ma l’intensità e l’individualità più che la grafia pittorica, le immagini e la tecnica verbale ci affascinano nella poesia di Cummings (...): - Ciò che conta in un uomo non è l’idea, ma a quale profondità è radicata -. E ancora: - La patria di un artista è in lui -. E: - Oggigiorno i cosiddetti scrittori non si rendono conto della cosa che fa dell’arte ciò che è. Potete chiamarla nobiltà o spiritualità, ma io la voglio chiamare intensità... Fare cose da solo significa silenzio e solitudine, un concetto completamente in contrasto con la presente epoca di rumore, che si riversa sulla comunità per escludere il momento presente, l’unico in cui il poeta vive... Il semplice pensiero di essere se stessi in un’epoca di personalità interscambiabili deve sembrare supremamente ridicolo -.
E le poesie di Cummings sono – fatte di nulla, fuorché solitudine -. “

Note biografiche
Edward Estling Cummings nacque a Cambrige, Massachussetts, il 14 ottobre 1894 e morì il 3 settembre 1962 nel New Hampshire. Si diplomò ad Harvard nel 1915. Durante la guerra del 14-18 servì sul fronte francese in un’ambulanza americana ma, poco dopo il suo arrivo, fu rinchiuso per tre mesi in un campo di prigionia francese con l’accusa infondata di spionaggio: rientrò quindi in America e non ritornò in Francia che a guerra finita. La sua esperienza militare e la prigionia fornirono il tema per il suo primo libro La stanza enorme (The Enormous Room, 1922), che Lawrence d’Arabia definì “di gran lunga il miglior libro americano sul periodo della guerra”. Dal 1920 si dedicò, oltre alla poesia, anche alla pittura ed al teatro, in versi e in prosa. Nel 1920 e poi nel ’31 soggiornò per qualche tempo a Parigi e viaggiò per l’Europa ed in Russia. In Europa tornò nel 1956 e nel 1960, viaggiando in Italia, Spagna, Francia e Grecia.
Si sposò tre volte. La prima con Elaine Orr nel 1924, dalla quale aveva avuto la sua unica figlia, Nancy, nel 1919. Elaine lasciò Cummings pochi mesi dopo il matrimonio, per trasferirsi in Irlanda con un ricco banchiere, portando la figlia con sé: Cummings non rivedrà la figlia fino al 1946. Il secondo matrimonio fu con Anne Minnerly Barton, nel 1929, e durò 3 anni.


Nel 1932, anno della seconda separazione, Cummings incontrò Marion Morehouse, modella di moda e fotografa, che vivrà al suo fianco per tutto il resto della sua vita.

18 gennaio 2006

Umorismo e comicità (Pirandello)

Pensando alla fine della poesia di Prévert, mi è venuta in mente una distinzione, fatta da Pirandello (1867-1937), secondo il quale l'umorismo è il "sentimento del contrario", da non confondere con il comico, che è solo l' "avvertimento del contrario".
L'esempio è dello stesso Pirandello, in un saggio del 1906: “Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d’abiti giovanili. Mi metto a ridere. Avverto che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente, arrestarmi a questa impressione comica. Il comico è appunto un avvertimento del contrario. Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse nessun piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente s’inganna che, parata così, nascondendo così le rughe e la canizie, riesca a trattenere a sé l’amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l’umoristico”.
Voi che ne dite?

17 gennaio 2006

Come per miracolo (Jacques Prévert)

Come per miracolo
Arance ai rami di un arancio
Come per miracolo
Un uomo viene avanti
Come per miracolo
Un piede innanzi all’altro per camminare
Come per miracolo
Una casa di pietra bianca
Dietro di lui è posta sulla terra
Come per miracolo
L’uomo si ferma ai piedi dell’arancio
Coglie un’arancia, la sbuccia e poi la mangia
Butta la buccia e sputa fuori i semi
Calmando come per miracolo
La sua gran sete del mattino
Come per miracolo
L’uomo sorride
Guardando il sole che si leva
E che splende
Come per miracolo
E l’uomo abbacinato se ne ritorna a casa
E ritrova come per miracolo
La sua donna addormentata
Meravigliato
Di vederla tanto giovane e bella
E come per miracolo
Nuda nel sole
La guarda
E come per miracolo lei si sveglia
E gli sorride
Come per miracolo lui l’accarezza
E come per miracolo lei si lascia accarezzare
Allora come per miracolo
Passano in cielo uccelli di passaggio
Che passano così
Come per miracolo
Degli uccelli di passaggio che vanno verso il mare
Altissimi volando
Sopra la casa di pietra
Dove l’uomo e la donna
Come per miracolo
Fanno l’amore
Uccelli di passaggio sorvolano il giardino
Dove come per miracolo l’arancio culla le sue arance
Nel vento del mattino
Spargendo come per miracolo la sua ombra sulla strada
Sulla strada dove un prete viene avanti
Con il naso nel breviario ed il breviario in mano
E il prete camminando sulla buccia d’arancia buttata dall’uomo
Scivola e cade
Come un prete che scivola su una buccia d’arancia e che cade su una strada
Un bel mattino.

Jacques Prévert (1900-1977)

16 gennaio 2006

Ci presentiamo: siamo M. e G.


Io mi chiamo M. e mi piace molto Imaginext.








Questa è la foto del Mammout, che abbiamo trovato sul sito americano, perché è appena uscito e in Italia non c'è ancora.










Il mio fratellino si chiama G.









A lui piace molto Zorro. Babbo Natale glielo ha regalato insieme al temibile sfidante Barcroft.

Una giornata particolare

Sabato, giornata piena...

Prima Keith Haring alla Triennale. Onirico.




















Poi visita al Castello Sforzesco: armature e mummie. Storico.


A seguire pranzo dai nonni, con zii e cugini. Pantagruelico.

Fine giornata al cinema: Kirikù e gli animali selvaggi. Colorato.











Una giornata di tutto riposo! E adesso un po' di relax...

15 gennaio 2006

Life’s a bitch and then you die: considerazioni sulla solitudine

Mi vengono in mente
· la solitudine dell’eremita, del trasvolatore, del velista solitario, della sentinella
· la solitudine del calciatore di fronte ad un rigore, del cacciatore di fronte alla carica di una pericolosa preda
· la solitudine dei singles
· la solitudine della malattia, fisica o mentale, quella del lutto

Ma le lettere di Camille Claudel mi fanno soprattutto pensare che non c’è solitudine più profonda che all’interno di un rapporto di coppia.

Quando si pensa ad una coppia, la solitudine può assumere diversi significati, che a me sembrano in qualche modo legati alla negazione, di sé o dell’altro.

La negazione dell’altro è l’assenza. È l’altro che si nega. Può dipendere da lontananza; peggio, da indifferenza, rifiuto, tradimento. È la sensazione descritta da Camillle.

La negazione di sé è una presenza vuota, priva di essenza. È l’altro che ti nega. Sta con te ma ti considera solo pura forma, involucro senza desideri, bisogni, senza dignità d’interesse.

Ma forse sono solo le due facce della stessa medaglia.

Cose che succedono, ad ogni modo.

14 gennaio 2006

Soprattutto non traditemi più (Claudel a Rodin)

Agosto 1886
Camille Claudel a Auguste Rodin

Caro amico,
Sono davvero adirata di apprendere che siete ancora indisposto, sono sicura che vi siete lasciato andare agli eccessi del cibo in una delle vostre solite maledette cene, con la solita maledetta gente che detesto, che si prende il vostro tempo e la vostra salute senza darvi in cambio nulla. Ma non voglio dire niente, perché so di essere impotente nel preservarvi dal male che vedo. Come potete lavorare al bozzetto del vostro volto senza modello? Ditemelo, ne sono molto preoccupata.
Mi rimproverate di non scrivervi abbastanza a lungo ma voi stesso non mi inviate che poche righe banali e indifferenti, che non mi divertono affatto.
Potete ben immaginare che io non sia molto gaia qui; mi sembra di essere così lontana da voi! e di esservi completamente estranea! C’è sempre qualcosa di assente che mi tormenta...


1886 ?
Auguste Rodin à Camille Claudel

Mia feroce amica,
La mia povera testa è davvero malata, e non ce la faccio ad alzarmi stamattina. La sera, ho percorso (per ore) senza trovarti i nostri luoghi. come mi sarebbe dolce la morte! e com’è lunga la mia agonia. Perché non mi hai aspettato alla studio? Dove vai? a che dolore ero destinato. Ho dei momenti di amnesia dove soffro meno, ma oggi, il dolore implacabile resta. Camille, mia amata malgrado tutto, malgrado la follia che sento sopraggiungere e che sarà opera vostra, se tutto questo continua. Perché non mi credi? Abbandono il mio Studio, la scultura; Se potessi andare ovunque, in un paese dove dimenticare, ma non ce ne sono. Ci sono dei momenti in cui credo francamente che ti dimenticherò. Ma dopo un attimo, sento la tua terribile potenza, Abbi pietà, cattiva. Non ne posso più, non posso più passare un giorno senza vederti. Altrimenti l’atroce follia. È tutto finito, non lavoro più, divinità malefica, e malgrado questo ti amo con furore (...)


Luglio 1891
Camille Claudel a Auguste Rodin

Signor Rodin
(…) Non potete immaginare che bel tempo fa a L’Islette.
Oggi ho mangiato nella sala di mezzo (che serve da serra) dalla quale si vedono entrambe i lati del giardino. (…)
Ho passeggiato nel parco, è tutto falciato, fieno, gramo, avena, si può andare in giro ovunque, è affascinante. Se siete gentile, a mantenere la vostra promessa, conosceremo il paradiso. Avrete la camera che vorrete per lavorare. La vecchia sarà ai nostri piedi, credo.


Mi ha detto che potrò fare il bagno nel fiume, dove lo fanno anche sua figlia e la cameriera, senza alcun pericolo.Col vostro permesso, farò altrettanto perché è un gran piacere e poi mi eviterà di andare ai bagni caldi di Azay. Sareste davvero gentile ad acquistarmi un piccolo costume da bagno, blu scuro con galloni bianchi, un due pezzi, blusa e pantaloni (taglia media), al Louvre o a buon mercato (in sargia) o a Tours.

Dormo completamente nuda per far credere a me stessa che voi siate qui ma quando mi sveglio non è più la stessa cosa.
Via abbraccio Camille
Soprattutto non traditemi più.





Da: «Correspondance», par Camille Claudel, édition d’Anne Rivière et Bruno Gaudichon; «Art et artistes», Editions Gallimard, 240 p., Mars 2003.

13 gennaio 2006

Una necessaria gita in Val Formazza, ad Antillone

A proposito di assenze, a me mancano "i posti": mi sento molto legato ad alcuni luoghi, come appunto la Val Formazza.
Con il nome "Val Formazza" viene indicato l'alto bacino d'impluvio del fiume Toce, immissario del Lago Maggiore, dallo spartiacque eretto a confine tra la Svizzera e l'Italia, alle gole delle Casse: si tratta della valle che occupa l’estremità nord del Piemonte.
È zona di alta montagna, ricca di ghiacciai, rupi e corsi d'acqua e bacini. Fa parte della provincia di Verbania. All’imbocco della valle si trova il sentiero che porta al Lago di Antillone, meta ideale per una gitarella con brevissima passeggiatina (15 minuti) in uno scenario ricco di suggestioni.

IL LAGO DI ANTILLONE

Parcheggiata l’auto a Fondovalle, si riscende verso Domodossola e dopo poche centinaia di metri si trova sulla destra una larga strada sterrata, percorribile
anche in mountain bike.

La stradina si snoda attraverso un magnifico bosco di faggi, larici ed abeti, conducendo in pochi minuti al lago di Antillone (Puneiga, nel dialetto walser), circondato di betulle, ed all’omonimo villaggio, sovrastato dalla piccola chiesetta del XV secolo.




Il piccolo santuario dedicato alla Visitazione di Maria è ancora meta di processioni annuali, o almeno credo.







All’interno è conservato un affresco seicentesco che rappresenta una processione di fedeli verso l'ospizio del S. Gottardo, attraverso il passo del Gries.









Numerose cappellette ed edicole religiose punteggiano il cammino, alcune delle quali sono state restaurate nel corso degli ultimi anni, precisamente dal mio amico U.








Per approfondimenti:
http://www.pomatterlauf.it (nella sezione Frazioni c’è un’ampia parte su Antillone).
http://www.comune.formazza.vb.it/ComHome.asp
http://www.valformazza.it

Andateci!

12 gennaio 2006

So, what? Considerazioni sul desiderio


Scrive Marco Deriu, Sociologo dell'Università di Parma, il 27 gennaio 2005 sulla rivista Pedagocika.it:
(...) La libertà si dispiega nella ricerca di una fedeltà profonda a se stessi e alla propria esperienza. Quel che ci muove è l'idea di diventare migliori, uomini migliori, persone migliori. Ci spinge il desiderio di trovare in noi stessi e nelle nostre relazioni forme di umanità più profonde, più intense, più belle. Possiamo maturare, trasformarci, divenire qualcosa di nuovo, forse dare vita ad un mondo migliore ma non possiamo fare qualsiasi cosa e soprattutto non qualcosa che abbiamo programmato idealmente a tavolino. Una vera ricerca esistenziale ed una politica del desiderio partono non da una semplice mancanza che si può colmare a piacimento, ma da una condizione accettata di incompiutezza intrinseca alla nostra parzialità e originalità e alla nostra dipendenza dagli altri, così come da una nostalgia del futuro.

"Il y a toujours quelque chose d'absent qui me tourmente" scriveva Camille Claudel, in una lettera a Rodin. Così anche per noi c'è sempre qualcosa di assente che ci tormenta, qualcosa che ci incanta, che ci impedisce di bastare a noi stessi e ci spinge a cercare ancora per noi e per gli altri. Si tratta di un desiderio vitale di fondo, di una tensione e di un'apertura senza determinazioni prevedibili. Noi possiamo mantenere una tensione ideale, un orizzonte di senso, una direzione interiore ispirata a qualcosa di non ancora raggiunto. È la disponibilità verso qualcosa che non conosciamo, che è più grande di noi e che è sempre appena di là da venire. Una direzione o una danza che si balla assieme ad altri piuttosto che una meta raggiungibile da soli. Qualcosa che lascia spazio appunto alla relazione, all'ascolto di sé, all'imprevisto, al caso. Un desiderio di cui non possediamo un'immagine. (...)

Non credo proprio fosse questo, che intendeva Camille Claudel nella sua dolorosa lettera all'amante. Io invece mi ci riconosco abbastanza. Un buon inizio, non è così?

11 gennaio 2006

Claudel e Rodin - La storia in pillole

Camille Claudel (1864-1943) è bellissima, occhi blu e capelli neri, ed è anche molto determinata: fin da piccola disegna e scolpisce con grande fatica fisica. Nasce a Villeneuve-sur Fère l'8 dicembre 1864 e comincia a modellare le sue prime figure in terracotta nella seconda metà degli anni Settanta. Nel 1881 si trasferisce a Parigi con la famiglia (madre anaffettiva, padre rigido, fratelli che la ignorano perchè la giudicano "strana").





Quando conosce Auguste Rodin (1840-1917), che i francesi paragonano a Michelangelo, Camille ha solo 17 anni e lui 24 più di lei. Le dà lezioni e, quindi, la ammette al suo atelier. Camille e Auguste diventano amanti e iniziano un rapporto burrascoso (lui ha un'altra donna che non lascerà mai e un figlio). Compiono viaggi assieme in varie regioni della Francia e aprono uno studio comune in 68, boulevard d'Italie.





La relazione professionale e pedagogica che unisce Rodin a Camille, si va via via approfondendo per divenire infine una passione reciproca senza misure. Per dieci anni i due scultori vivranno e creeranno in uno stato di simbiosi sorprendente. Lo dicono le loro opere: L'Eternel printemps, Je suis belle o La Valse parlano di amore e di passione condivisa. Malgrado il fervore artistico e sentimentale che lega Rodin e Claudel, la fine del secolo vedrà attenuarsi la passione e deteriorarsi i loro rapporti.



Nel 1888 Camille incontra Claude Debussy con cui ha una breve relazione e l'anno successivo il rapporto con Rodin, sempre più tormentato, s'interrompe. Entrambi continueranno ad arricchire le proprie opere, ma lavoreranno in maniera sempre più indipendente, mentre le crisi di gelosia dell’innamorata diventeranno sempre più violente, fino al punto che, nel processo di annientamento di se stessa, Camille arriverà anche a distruggere le sue opere.

Rodin non smetterà mai di produrre, mentre Camille sarà poco a poco paralizzata da una sofferenza interiore che imporrà il silenzio alle sue mani. Seguiranno per lei l’internamento e l’isolamento; per lui un dolore empatico.

La fine della relazione, durata dodici scandalosi anni (1881-1893), porterà, infatti, Camille alla follia. A causa del progressivo aggravarsi delle sue condizioni, il fratello Paul - diplomatico, poeta e drammaturgo cattolico - nel 1913 la farà ricoverare in un manicomio, dove l'artista resterà fino alla morte, il 19 ottobre 1943, 26 anni dopo Auguste Rodin.

Ossessionato dal volto di Camille, Rodin fisserà la sua bellezza diafana in sontuosi busti di gesso, di marmo e di bronzo. Soffrirà fino all’ultimo d’aver visto estinguersi l’ardore creativo che bruciava nelle vene di colei che egli aveva soprannominato una volta « la mia feroce amica » e che considerava una donna di genio.

Ne L'age mur, Camille Claudel trasporrà l'immagine del suo dolore per la perdita di Rodin in una giovane donna inginocchiata, con le braccia protese in direzione di un uomo che si allontana volgendole le spalle, senza voltarsi indietro, avviluppato da una figura femminile, rappresentante la morte.





Per saperne di più:
http://www.camille-claudel.org
http://www.camilleclaudel.asso.fr

C'è sempre qualcosa di assente che mi tormenta

Ho deciso di creare questo blog sabato 5 novembre, mentre mi trovavo a Parigi per lavoro. Camminavo da solo lungo il Quai Bourbon, sull'île St-Louis, dopo cena, con il naso all'insù - per me l'unico modo possibile per visitare Parigi.
Ad un certo punto mi sono imbattuto nella lapide qui a fianco, che recita: "Il y a toujours quelque chose d'absent qui me tourmente".

E' una frase tratta da una lettera scritta da Camille Claudel ad Auguste Rodin nell'agosto del 1886. A parte il fatto che fossero due eccezionali scultori vissuti tra la fine dell'800 e l'inizio del '900 e che fossero stati amanti, nulla sapevo della loro vicenda. La frase però mi aveva colpito ed ho perciò deciso di rifletterci un po' meglio, cercando qualche informazione in più.



Questo blog è il luogo dove vorrei raccogliere queste informazioni, mano a mano che le troverò, ed insieme una serie di riflessioni su qualsiasi altra cosa mi venga in mente.