Ieri mattina ho accompagnato mia madre al San Raffaele per un intervento ambulatoriale che speriamo non grave (risultati biopsia attesi tra due settimane). Mi sono ritrovato a riflettere su alcune cose.
1. Come ho già avuto occasione di dire, "speriamo che la morte ci colga vivi". La vecchiaia è davvero una triste condizione, che ti sottrae le energie per vivere la tua vita in modo autonomo e indipendente, che sfalda il tuo corpo senza riservare lo stesso trattamento alla mente con la stessa rapidità, talché sei ridotto ad un rottame pensante e non puoi farci proprio niente, a parte compiangere la tua triste condizione ormai irreversibile. I figli guardano impotenti i genitori, domandandosi come sarà quando toccherà anche a loro lo stesso destino. Le medicine terranno in vita i nostri organi vitali, ma nulla potranno fare per contrastare il crollo del miserabile involucro che li contiene.
2. Le grandi strutture ospedaliere sono probabilmente necessarie a sostenere gli investimenti necessari per offrire ai pazienti le migliori cure, rimanendo ancorate alla frontiera della ricerca scientifica, unica speranza per molte malattie ancora incurabili: tuttavia falliscono nella gestione del lato umano dei propri utenti. Il gigantismo da "salutificio" delle strutture induce negli umani che si trovano ad attraversarle la sensazione di trovarsi spersi in un oceano sconfinato e turbolento, navigando sul guscio di noce della propria spesso insensata speranza di guarire. Pendono dalle labbra di chiunque sia disposto a rassicurarli o anche solamente a starli a sentire per un attimo.
3. La salute è, e sempre di più sarà, una questione di soldi, e tanti. Solo con i soldi sarà possibile permettersi le cure migliori e più mirate, possibilmente nelle strutture ospedaliere meno gigantiche, capaci di ospitare - insieme al malato - anche le persone più care, le uniche delle quali può essere auspicata o tollerata la vicinanza.
23 giugno 2009
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