Anche se non vuoi mai fare una foto che sia una...
In tuo onore, ieri abbiamo anche visto Dune, davvero bello.
Riflessioni e spunti in materia di arti figurative, letteratura, filosofia. Immagini e pensieri dalla vita di ogni giorno.
Anche se non vuoi mai fare una foto che sia una...
In tuo onore, ieri abbiamo anche visto Dune, davvero bello.
Stasera abbiamo festeggiato il compleanno di Giacomo e nello stesso tempo il ritorno in un ristorante, all’aperto, dopo molti mesi di lockdown. Tante ragioni per essere felici! Auguri Giac!
Il nemico
Eccomi già all'autunno delle idee,
è tempo del badile e del rastrello
per rassodare le terre inondate
in cui l'acqua ha scavato buche larghe come tombe.
E chissà se i fiori nuovi che vagheggio
troveranno, in un suolo lavato come un greto,
il mistico limo che li rinvigorirà...
Vorrei che tu venissi da me una sera d'inverno e, stretti insieme dietro
i vetri, guardando la solitudine delle strade buie e gelate,
ricordassimo gli inverni delle favole, dove si visse insieme senza
saperlo. Per gli stessi sentieri fatati passammo infatti tu ed io, con
passi timidi, insieme andammo attraverso le foreste piene di lupi, e i
medesimi genii ci spiavano dai ciuffi di muschio sospesi alle torri, tra
svolazzare di corvi. Insieme, senza saperlo, di là forse guardammo
entrambi verso la vita misteriosa, che ci aspettava. Ivi palpitarono in
noi, per la prima volta pazzi e teneri desideri. "Ti ricordi?" ci diremo
l'un l'altro, stringendoci dolcemente, nella calda stanza, e tu mi
sorriderai fiduciosa mentre fuori daran tetro suono le lamiere scosse
dal vento. Ma tu - ora mi ricordo - non conosci le favole antiche dei re
senza nome, degli orchi e dei giardini stregati. Mai passasti, rapita,
sotto gli alberi magici che parlano con voce umana, né battesti mai alla
porta del castello deserto, né camminasti nella notte verso il lume
lontano lontano, né ti addormentasti sotto le stelle d'Oriente, cullata
da piroga sacra. Dietro i vetri, nella sera d'inverno, probabilmente noi
rimarremo muti, io perdendomi nelle favole morte, tu in altre cure a me
ignote. Io chiederei "Ti ricordi?", ma tu non ricorderesti.
Vorrei con te passeggiare, un giorno di primavera, col cielo di color
grigio e ancora qualche vecchia foglia dell'anno prima trascinata per le
strade dal vento, nei quartieri della periferia; e che fosse domenica.
In tali contrade sorgono spesso pensieri malinconici e grandi; e in date
ore vaga la poesia, congiungendo i cuori di quelli che si vogliono
bene. Nascono inoltre speranze che non si sanno dire, favorite dagli
orizzonti sterminati dietro le case, dai treni fuggenti, dalle nuvole
del settentrione. Ci terremo semplicemente per mano e andremo con passo
leggero, dicendo cose insensate, stupide e care. Fino a che si
accenderanno i lampioni e dai casamenti squallidi usciranno le storie
sinistre della città, le avventure, i vagheggiati romanzi. E allora noi
taceremo sempre tenendoci per mano, poiché le anime si parleranno senza
parola. Ma tu - adesso mi ricordo - mai mi dicesti cose insensate,
stupide e care. Né puoi quindi amare quelle domeniche che dico, né
l'anima tua sa parlare alla mia in silenzio, né riconosci all'ora giusta
l'incantesimo delle città, né le speranze che scendono dal
settentrione. Tu preferisci le luci, la folla, gli uomini che ti
guardano, le vie dove dicono si possa incontrare la fortuna. Tu sei
diversa da me e se venissi quel giorno a passeggiare, ti lamenteresti
d'essere stanca; solo questo e nient'altro.
Vorrei anche andare con te d'estate in una valle solitaria,
continuamente ridendo per le cose più semplici, ad esplorare i segreti
dei boschi, delle strade bianche, di certe case abbandonate. Fermarci
sul ponte di legno a guardare l'acqua che passa, ascoltare nei pali del
telegrafo quella lunga storia senza fine che viene da un capo del mondo e
chissà dove andrà mai. E strappare i fiori dai prati e qui, distesi
sull'erba, nel silenzio del sole, contemplare gli abissi del cielo e le
bianche nuvolette che passano e le cime delle montagne. Tu diresti "Che
bello!" Niente altro diresti perché noi saremmo felici; avendo il nostro
corpo perduto il peso degli anni, le anime divenute fresche, come se
fossero nate allora.
Ma tu - ora che ci penso - tu ti guarderesti intorno senza capire, ho
paura, e ti fermeresti preoccupata ad esaminare una calza, mi
chiederesti un'altra sigaretta, impaziente di fare ritorno. E non
diresti "Che bello!", ma altre povere cose che a me non importano.
Perché purtroppo sei fatta così. E non saremmo neppure per un istante
felici.
Vorrei pure - lasciami dire - vorrei con te sottobraccio attraversare le
grandi vie della città in un tramonto di novembre, quando il cielo è di
puro cristallo. Quando i fantasmi della vita corrono sopra le cupole e
sfiorano la gente nera, in fondo alla fossa delle strade, già colme di
inquietudini. Quando memorie di età beate e nuovi presagi passano sopra
la terra, lasciando dietro di se una specie di musica. Con la candida
superbia dei bambini guarderemo le facce degli altri, migliaia e
migliaia, che a fiumi ci trascorrono accanto. Noi manderemo senza
saperlo luce di gioia e tutti saran costretti a guardarci, non per
invidia e malanimo; bensì sorridendo un poco, con sentimento di bontà,
per via della sera che guarisce le debolezze dell'uomo. Ma tu - lo
capisco bene - invece di guardare il cielo di cristallo e gli aerei
colonnati battuti dall'estremo sole, vorrai fermarti a guardare le
vetrine, gli ori, le ricchezze, le sete, quelle cose meschine. E non ti
accorgerai quindi dei fantasmi, né dei presentimenti che passano, né ti
sentirai, come me, chiamata a sorte orgogliosa. Né udresti quella specie
di musica, né capiresti perché la gente ci guardi con occhi buoni. Tu
penseresti al tuo povero domani e inutilmente sopra di te le statue
d'oro sulle guglie alzeranno le spade agli ultimi raggi. Ed io sarei
solo. E' inutile. Forse tutte queste sono sciocchezze, e tu migliore di
me, non presumendo tanto dalla vita. Forse hai ragione tu e sarebbe
stupido tentare. Ma almeno, questo sì almeno, vorrei rivederti. Sia quel
che sia, noi staremo insieme in qualche modo, e troveremo la gioia. Non
importa se di giorno o di notte, d'estate o d'autunno, in un paese
sconosciuto, in una casa disadorna, in una squallida locanda. Mi basterà
averti vicina. Io non starò qui ad ascoltare - ti prometto - gli
scricchiolii misteriosi del tetto, né guarderò le nubi, né darò retta
alle musiche o al vento. Rinuncerò a queste cose inutili, che pure io
amo. Avrò pazienza se non capirai ciò che ti dico, se parlerai di fatti a
me strani, se ti lamenterai dei vestiti vecchi e dei soldi. Non ci
saranno la cosiddetta poesia, le comuni speranze, le mestizie così
amiche all'amore. Ma io ti avrò vicina. E riusciremo, vedrai, a essere
abbastanza felici, con molta semplicità, uomo e donna solamente, come
suole accadere in ogni parte del mondo.
Ma tu - adesso ci penso - sei troppo lontana, centinaia e centinaia di
chilometri difficili a valicare. Tu sei dentro a una vita che ignoro, e
gli altri uomini ti sono accanto, a cui probabilmente sorridi, come a me
nei tempi passati. Ed è bastato poco tempo perché ti dimenticassi di
me. Probabilmente non riesci più a ricordare il mio nome. Io sono ormai
uscito da te, confuso tra le innumerevoli ombre. Eppure non so pensare
che a te, e mi piace dirti queste cose.
“Lui non corse verso di lei, benché lo volesse, come voleva bere quando aveva sete, ma si avvicinò a passo normale e quando le fu vicino, nel mezzo della rotonda, davanti alla fermata del tram, davanti alle rotaie che sembrava stessero per fondersi, si fermò semplicemente e semplicemente la guardò e vide in lei quello che lui aveva in sé, qualche cosa che Innocenzo non aveva immaginato che potessero avere: tristezza. Colavano tristezza tutti e due come la candela cola cera”.
Al mare con la ragazza, Giorgio Scerbanenco, 1965
Il punto di partenza è sempre una domenica di pioggia; forse perché giorno terminale che contiene il mistero dei confini, o solo perché raccoglie la stanchezza di un’intera settimana. Rimane il luogo temporale di questo diario, la condizione iniziale. Questa volta però non voglio tornare a ritroso nel tempo, ripensare, rivedere, ricordare; questa volta voglio un tempo presente per parlare. (...)
(...) Ricordo un libro letto da ragazzo, lo cerco tra i tanti scaffali di casa che la pigrizia e l’indecisione di una vita mi hanno impedito di ordinare con criteri definitivi. Lo trovo ugualmente, un piccolo volume dalla copertina bianca e dal titolo evocativo: Teoria delle Catastrofi. Sfoglio velocemente le pagine, sono come foto di quando ero più giovane, le ricordo e non mi riconosco. Una moda passeggera, la teoria delle catastrofi fu un tentativo di applicare la matematica delle singolarità e delle biforcazioni ad ambiti più ampi, non matematici. (...)
(...) La teoria delle catastrofi studia la geometria e la topologia delle singolarità di mappe continue, un tentativo di delineare i meccanismi per cui un sistema che viene sollecitato con continuità da parametri esterni improvvisamente cambia stato, struttura, si rinnova. Il termine catastrofe come cambiamento improvviso, ripulito dal significato terribile che spesso lo accompagna. (...)
(...) ritrovo finalmente il capitolo che mi ha fatto scattare il ricordo. Si tratta del settimo: “Singolarità ai confini dei domini di stabilità e il principio di fragilità delle cose migliori”.
Eccolo, il principio di fragilità delle cose migliori. Nello spazio matematico che descrive un sistema dinamico generico i domini di stabilità costituiscono una regione in cui piccoli cambiamenti delle condizioni iniziali hanno un impatto minimo sull’equilibrio del sistema stesso. Ma sui bordi di questi domini si possono sviluppare delle singolarità, stando sul confine è più facile far precipitare il sistema nell’instabilità. Usando le parole di Arnol’d “[…] Questa è una manifestazione del principio generale che afferma che le cose buone (la stabilità) sono più fragili delle cose cattive”. (...)
Ecco, io... grazie.
Articolo completo qui.
“Quando abbiamo smesso di dormire in quel modo? Mi sforzo ma non riesco a ricordare. Il tempo procede così, a piccole sottrazioni. Ci adattiamo all’assenza, facciamolo continui aggiustamenti. Finché non ci accorgiamo di assomigliare più a quello che manca che a quello che resta.”
Primo pre-festeggiamento, con cuginanza, il 12 settembre.
Festeggiamento completo e definitivo, oggi, data giusta.
Se ora tu bussassi alla mia porta
e ti togliessi gli occhiali
e io togliessi i miei che sono uguali
e poi tu entrassi dentro la mia bocca
senza temere baci diseguali
e mi dicessi "Amore mio,
ma che è successo?", sarebbe un pezzo
di teatro di successo.
Patrizia Cavalli
Non immagino la mia vita come una clessidra, nella quale un giorno la sabbia terminerà di scorrere; piuttosto come un fiume, che un giorno raggiungerà il mare cui era da sempre destinato, divenendo tutt’uno con questo. E spero in un estuario
"Vi sono momenti minuscoli di felicità, e sono quelli durante i quali si dimenticano le cose brutte. La felicità, signorina mia, è fatta di attimi di dimenticanza."
Totò (Intervistato da Oriana Fallaci, 1963)
Sto maturando la convinzione che i genitori siano come le sentenze, da accettare senza discussioni. Solo che non si può ricorrere in appello.