Silvio, mi manchi. L’ho sempre temuto, ma ne ho avuto la certezza ieri pomeriggio. Quando, in piena sonnolenza post-spaghetto e post-discorso programmatico del nuovo premier, mi sono imbattuto in una tua dichiarazione roboante. Te la prendevi con Napolitano «maestrino» e con la stampa «terrorista». Come ai vecchi tempi. Per un attimo ho creduto che tu fossi tornato, che le tue parole riattizzassero polemiche e scavassero indignazioni. Invece niente. Non ti ha filato nessuno. Tutti dietro a quell’altro che parla di «iato» e di «spending review». Persino gli studenti in piazza ti hanno già dimenticato: i loro cartelli sfottevano solo i banchieri. Guarda, non dovrei dirtelo, ma persino i tuoi tg hanno fiutato l’aria sobria e anziché sostenere le tue battaglie contro i mulini forti preferiscono darsi alla cronaca nera. Taccio sulla Rai, per non farti soffrire. Comunque sappi che davanti alla porta di Casini c’è una tale fila di tuoi ex raccomandati che fra un po’ dovranno dargli il numeretto come alle Poste.
Siamo rimasti soli, Silvio. Hai spaccato un Paese, abbassato l’asticella del buongusto al livello dell’elastico degli slip, desertificato i cervelli di due generazioni di telespettatori, abolito il senso di autorità e quello dello Stato (già scarsi anche prima di te), sdoganato un esercito di fascisti, razzisti, squinzie e buzzurri. Soprattutto hai sparato una quantità inverosimile di panzane. Eppure eri la mia musa. Ora basta però, ti devo lasciare. Per il bene della Nazione e mio personale, da domani scriverò solo dei Buongiorno tecnici.
Massimo Gramellini, dalla rubrica Buongiorno su La Stampa di oggi.
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