L'ultimo libro del filosofo Remo Bodei 'La vita delle cose' pone sotto i nostri occhi l'esistenza che gli oggetti vivono indipendentemente da noi e che a loro volta vivono riflessi nel nostro sguardo
Poco tempo fa l'editore Laterza ha pubblicato un libro di Remo Bodei intitolato 'La vita delle cose'. L'autore è ben conosciuto nel mondo della filosofia e della cultura in genere; ha insegnato a lungo alla Normale di Pisa e attualmente insegna alla University of California di Los Angeles.
Secondo me quest'ultimo suo libro (ne ha scritti molti e tutti molto stimolanti) ha qualcosa di eccezionale e di sorprendente anche se parte da un'osservazione che tutti in un certo momento della vita abbiamo fatto e da una situazione che tutti abbiamo vissuto nelle nostre fantasie infantili: gli oggetti vivono. Vivono dentro di noi ma hanno anche una loro vita indipendentemente da noi. Esiste un rapporto ambivalente tra noi e gli oggetti, rivelatore di fondamentali meccanismi della conoscenza e della psiche. Penso insomma che il libro di Bodei meriterebbe d'avere moltissimi lettori perché tocca e scioglie una serie di nodi che spesso impigliano la nostra mente e i nostri pensieri.
Le cose delle quali parla Bodei sono uno sterminato universo, vanno dai giocattoli dei bambini alla collana di perle regalo d'un matrimonio, al letto in cui abitualmente dormiamo, alle posate che usiamo per consumare i nostri pasti, al bancone del bar che frequentiamo. Ma anche alla tomba che contiene le spoglie dei genitori o d'un amico che ci ha lasciato. E perfino la memoria dei nostri morti, il nostro passato, le persone che lo animarono.
Insomma, se vogliamo stringere la questione all'essenziale, le cose sono tutto ciò che è oggettivo, al di fuori di noi. E poiché noi, io, siamo l'unico soggetto che dal suo punto di vista guarda il resto del mondo, ecco che le cose delle quali parla Bodei sono per l'appunto il resto del mondo. Io e il resto del mondo, il quale vive nel mio sguardo e attraverso il mio sguardo entra dentro di me, suscita in me amore oppure odio e repulsione, mi invade, in certi casi mi possiede e mi domina mentre io a mia volta possiedo e domino lui, oggetto del mio sguardo e della mia attenzione.
Un soggettivismo esasperato? Non sarebbe in fondo una cosa nuova né, come prima ho scritto, sorprendente, se ne discute da quando gli uomini hanno cominciato a pensare e a riflettere su se stessi, cioè almeno da 2.500 anni. Ma è sorprendente il ragionamento attraverso il quale l'autore di questo libro pone sotto i nostri occhi l'esistenza che le cose vivono indipendentemente da noi e quali sentimenti suscita in questa apparentemente ovvia constatazione: malinconia, gelosia, sentimenti di perdita, feticismo, distacco, disperazione, bisogno di novità. Insomma vita, vita nostra, vita del soggetto che noi siamo e che alimenta la propria esistenza con un rapporto costante con gli oggetti (animati e inanimati) che ci circondano e che a loro volta vivono riflessi nel nostro sguardo speculare.
Trascrivo qui un brano di Fernando Pessoa citato da Bodei, che ci dà tutta la misura e l'intensità del libro di cui stiamo parlando: "Sento il tempo come un enorme dolore. Abbandono sempre ogni cosa con esagerata commozione. Le cose buone della vita mi fanno male in senso metafisico quando le abbandono e penso che non le vedrò né le avrò mai più, perlomeno in quel preciso esatto momento.
I morti. I morti che mi hanno amato nella mia infanzia. Quando li rievoco la mia anima si raffredda e io mi sento esiliato dai cuori, solo nella notte di me stesso, piangendo come un mendicante in silenzio sbarrato di tutte le porte".
Il linguaggio poetico di Pessoa, unito al sentimento della perdita e all'incubo della morte, raggiunge qui un'intensità drammatica che tocca il lettore nel profondo. Il miracolo psicologico che ne sgorga e che Bodei racconta con altrettanta efficacia consiste nel capovolgimento degli elementi che Pessoa esprime della perdita, della solitudine, del "silenzio sbarrato di tutte le porte". Nasce una creazione poetica che commuove i cuori e riapre le porte sbarrate del silenzio.
Lasciamo dunque concludere l'autore con parole sue: "Le cose rappresentano nodi di relazioni con la vita degli altri, anelli di continuità tra le generazioni, ponti che collegano storie individuali e collettive, raccordi tra civiltà e natura. Ci spingono a dare ascolto alla realtà, a farla entrare in noi così da ossigenare un'interiorità altrimenti asfittica. Mostrano inoltre il soggetto nel suo rovescio, nel suo lato più nascosto, quello del mondo che affluisce a lui in quel viaggio a sorpresa che è la vita".
Dal sito di Repobblica, 03 luglio 2009
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