07 agosto 2008

C’era una volta una bimba

C’era una volta una bimba bellissima: aveva capelli d’oro, lunghe spighe ondeggianti di vento nel grande prato di un’eterna primavera, occhi di smeraldo, puri e cristallini come l’acqua che sgorga da un’incontaminata sorgente di montagna, ed un sorriso così dolce ed aperto che aveva il potere di rasserenare in un attimo anche l’animo più smarrito.
Il suo nome era Serena e la sua vita scorreva lenta e tranquilla un giorno dopo l’altro, fino a che raggiunse e varcò, in un lampo, la soglia della più giovane maturità.
Fu, infatti, all’incirca all’età di vent’anni che si produsse il curioso fenomeno che cambiò la sua vita e che qui di seguito è narrato.
Era una bella serata di giugno ed una dolce e tiepida brezza spirava nell’aria, rendendola viva e frizzante. La luna era già alta nel cielo e la sua luce si diffondeva ovattata su tutte le cose, avvolgendole di un magico manto.
Serena si stava preparando per andare a letto: si lavò e indossò la sua camicia da notte preferita, dirigendosi poi con tutta calma verso la camera da letto. Varcata che ne ebbe la soglia, la sua attenzione fu attratta da una strana creatura che sedeva tranquilla sul comodino, appoggiata all’abat-jour.
Era uno gnomo, come qualunque individuo anche di media intelligenza avrebbe potuto facilmente intuire dal lungo cappello a punta, dalla folta barba bianca e dalle tipiche paffute guance a pomello (è da queste caratteristiche, difatti - come tutti sanno -, che si può riconoscere senza ombra di dubbio uno gnomo).
- Buonasera Signor Gnomo - disse Serena timidamente.
- Bando alle ciance - ribatté lui (taluni gnomi possono a volte rivelarsi un po’ scontrosi, specialmente se si trovano a stomaco vuoto).
- Il mio nome è Orazio e sono qui per assolvere un ben preciso compito. Ormai sei cresciuta, sei diventata grande, ed è giunta l’ora che tu faccia il tuo ingresso a tutti gli effetti nella società. Perciò, io lascerò ogni notte a partire da questa ventiquattro monete d’oro sul tuo comodino, affinché tu possa spenderle a tuo piacimento durante ogni giornata. Le troverai domattina al tuo risveglio, e se avrai bisogno di me non dovrai fare altro che chiamarmi.
E ora dormi. -
Ciò detto, disparve, mentre Serena sprofondava in un sonno calmo e profondo, ricco di coloratissimi sogni.
L’indomani mattina, Serena trovò effettivamente le monete sul comodino, come lo gnomo aveva detto, e così il giorno dopo e il giorno dopo ancora. Ma, per quanto cercasse di spendere tutto durante la giornata, impegnata com’era tra una faccenda e l’altra da sbrigare, quando la sera si addormentava, sul comodino restava sempre qualche moneta.
Il mattino seguente, però, le monete erano tornate ad essere ventiquattro, non una di più: nemmeno l’ombra era rimasta di quelle risparmiate.
Confusa, ed anche un pochino scocciata, una sera finalmente si decise a chiamare lo gnomo Orazio, che puntualmente arrivò.
- Dimmi, mia dolce cucciola - così le si rivolse - c’è forse qualche dubbio che agita i tuoi pensieri? - (lo gnomo non era mica fesso e aveva sgamato la piccola dal tono della voce che aveva utilizzato per chiamarlo: per questo, il suo approccio stavolta fu più calmo e pacato).
- Gnomo - esordì la piccola - mi sa che tu tiri a fregarmi. Ma come: malgrado io risparmi ogni giorno una parte delle mie monete, la mattina me ne ritrovo poi sempre e solo ventiquattro. Ma le altre, chi se le gabba? - (Serena non aveva sempre e soltanto frequentato delle duchesse nel corso della sua breve esistenza ed il suo vocabolario, comunque, a volte un pochino ne risentiva).
Lo gnomo sorrise (gli gnomi sono spesso ironici), trasse un profondo respiro ed incominciò quindi la sua spiegazione.
- Vedi mia cara, le monete che ogni notte ti lascio sul comodino altro non sono che il valore del tempo della tua giornata successiva: tu non puoi risparmiarle, nessuno può farlo, perché immancabilmente durante la notte esse spariranno per far posto ad un nuovo giorno. Puoi farne ugualmente tesoro, ma soltanto vivendole, vivendo a fondo ogni minuto, ogni istante della tua giornata, spendendo il tuo tempo senza paura, con e per te stessa o facendone dono a chi ami. Solo così potrai veramente arricchirti, perché la cassaforte dei tuoi ricordi non sarà mai vuota, nemmeno quando io non potrò più essere al tuo fianco, e tu non sarai mai sola.
E adesso lasciami tornare a dormire, che mi stavo tirando una pennica iperbolica, sulla mia mega-amaca galattica preferita - (anche lo gnomo sapeva cavarsela nell’eloquio gergale, quando necessario).
E, soddisfatto, sparì.
Serena sorrise, arrossendo un pochino, ma da quel giorno non riuscì più a risparmiare nulla del suo patrimonio.
E fu felice.

La morale di questa storia è, ovviamente, che non bisogna mai fidarsi degli gnomi. O no?


Postfazione. Nel 1993 (15 anni fa - pazzesco!) lavoravo nel marketing di Reckitt & Colman Italia e partecipavo alla redazione dell’house-organ della società, denominato “People”. Scrissi un racconto brevissimo, una specie di favoletta morale, da un’idea di una collega (ciao Ale), che a sua volta l’aveva sentita raccontare: il racconto fu pubblicato sul primo numero del 1994. Pensavo di averlo perso e invece l’ho ritrovato recentemente tra le mie cose. Lo ripropongo senza modifiche, così non lo perdo più.

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