28 luglio 2006
CHIUSO PER FERIE (O FORSE APERTO NEL MONDO REALE?)
Da oggi scatta la pausa estiva. Cercherò di mandare qualche cartolina virtuale di quando in quando. Buon tutto a tutti, pure a me...
27 luglio 2006
Verità nascoste (A. Pagliuca - A. Tagliapietra, cioè Le Orme, 1976)
Vorrei raccogliere il tuo mondo
E liberare i grandi sogni,
E colorare i tuoi disegni
Di disperate notti bianche,
E ridere come chi vince
La sua vita in un gioco perdente.
Vorrei riprendere il viaggio
Che ho già percorso al tuo fianco,
Per diventare il tuo cavallo
E trasportare dolcemente
Il peso del tuo amore,
Cancellando ogni dubbio in te.
Vorrei tornar nei nostri luoghi
Per risentire le parole
Che sussurravi ad un sordo
Ma ecco il tempo che non tace,
Vorrei, vorrei far vivere
Questa nuova ed immensa verità.
E liberare i grandi sogni,
E colorare i tuoi disegni
Di disperate notti bianche,
E ridere come chi vince
La sua vita in un gioco perdente.
Vorrei riprendere il viaggio
Che ho già percorso al tuo fianco,
Per diventare il tuo cavallo
E trasportare dolcemente
Il peso del tuo amore,
Cancellando ogni dubbio in te.
Vorrei tornar nei nostri luoghi
Per risentire le parole
Che sussurravi ad un sordo
Ma ecco il tempo che non tace,
Vorrei, vorrei far vivere
Questa nuova ed immensa verità.
25 luglio 2006
Ieri sera seratona a Varese con un simpatico gruppo di "supergiovani"
24 luglio 2006
Un weekend nell'amata Formazza
Niente di che per qualcuno. Una grande gioia per me.
Sabato passeggiata a Morasco. Domenica grigliatona a casa di P.
Ieri sera non sono riuscito a tornarmene a casa al caldo, ho preferito rimanere a dormire su. Stamattina partenza alle 6,20 - arrivo in ufficio alle 10,20 o forse anche dopo. Il doppio esatto del tempo di percorrenza "normale", ma tant'è...
Sabato passeggiata a Morasco. Domenica grigliatona a casa di P.
Ieri sera non sono riuscito a tornarmene a casa al caldo, ho preferito rimanere a dormire su. Stamattina partenza alle 6,20 - arrivo in ufficio alle 10,20 o forse anche dopo. Il doppio esatto del tempo di percorrenza "normale", ma tant'è...
21 luglio 2006
La casa della Gjave (Mario Benedetti, 2004)
Sono finiti gli anni della casa,
anche quelli che si pensava fossero ancora lì
con abeti, la bicicletta che tenevano su.
Ci sono un ragazzo e una donna
nei movimenti che si rompono senza dolore
lungo quello che è il loro cortile.
C'è dell'erba di là, come non saprei dire,
sotto gli alberi che fa un po' di prato.
Come le viti sono i legni secchi dei rovi,
qualche foglia strana dei rovi.
Sono un fiore che cresce più di quello che possa,
di quello che è a toccarlo.
Come quando si dice "mi hai portato dei fiori",
e sono solo dei poveri fiori.
Come quando si dice "così sono stati i poeti".
anche quelli che si pensava fossero ancora lì
con abeti, la bicicletta che tenevano su.
Ci sono un ragazzo e una donna
nei movimenti che si rompono senza dolore
lungo quello che è il loro cortile.
C'è dell'erba di là, come non saprei dire,
sotto gli alberi che fa un po' di prato.
Come le viti sono i legni secchi dei rovi,
qualche foglia strana dei rovi.
Sono un fiore che cresce più di quello che possa,
di quello che è a toccarlo.
Come quando si dice "mi hai portato dei fiori",
e sono solo dei poveri fiori.
Come quando si dice "così sono stati i poeti".
20 luglio 2006
Ieri sera GOOGLE FREAKPARTY...
...all'Ippodromo del galoppo di San Siro, quello dove nel 1999 è stata collocata la gigantesca statua di bronzo del Cavallo di Leonardo, realizzata su disegni originali di Leonardo da Vinci dalla una fondazione statunitense e donata alla Città di Milano (vedi http://it.wikipedia.org/wiki/Il_Cavallo_di_Leonardo_(Milano) ).
Festa divertente.
Ospiti d'onore Norma Jean Wright e Lucy Martin, coriste della formazione originale degli Chic (vedi http://www.dance70.com/artisti/c/chic.htm): danze d'obbligo per noi anziani della generazione discomusic.
Festa divertente.
Ospiti d'onore Norma Jean Wright e Lucy Martin, coriste della formazione originale degli Chic (vedi http://www.dance70.com/artisti/c/chic.htm): danze d'obbligo per noi anziani della generazione discomusic.
19 luglio 2006
Un tempo lontano, quando avevo sei anni... (da "Il Piccolo Principe", Cap. I)
Un tempo lontano, quando avevo sei anni, in un libro sulle foreste primordiali, intitolato "Storie vissute della natura", vidi un magnifico disegno. Rappresentava un serpente boa nell'atto di inghiottire un animale. Eccovi la copia del disegno.
C'era scritto: "I boa ingoiano la loro preda tutta intera, senza masticarla. Dopo di che non riescono più a muoversi e dormono durante i sei mesi che la digestione richiede".
Meditai a lungo sulle avventure della jungla. E a mia volta riuscii a tracciare il mio primo disegno. Il mio disegno numero uno. Era così:
Mostrai il mio capolavoro alle persone grandi, domandando se il disegno li spaventava. Ma mi risposero: "Spaventare? Perché mai, uno dovrebbe essere spaventato da un cappello?" Il mio disegno non era il disegno di un cappello. Era il disegno di un boa che digeriva un elefante. Affinché vedessero chiaramente che cos'era, disegnai l'interno del boa. Bisogna sempre spiegargliele le cose, ai grandi. Il mio disegno numero due si presentava così:
Questa volta mi risposero di lasciare da parte i boa, sia di fuori che di dentro, e di applicarmi invece alla geografia, alla storia, all'aritmetica e alla grammatica. Fu così che a sei anni io rinunziai a quella che avrebbe potuto essere la mia gloriosa carriera di pittore. Il fallimento del mio disegno numero uno e del mio disegno numero due mi aveva disanimato. I grandi non capiscono mai niente da soli e i bambini si stancano a spiegargli tutto ogni volta. Allora scelsi un'altra professione e imparai a pilotare gli aeroplani. Ho volato un po' sopra tutto il mondo: e veramente la geografia mi è stata molto utile. A colpo d'occhio posso distinguere la Cina dall'Arizona, e se uno si perde nella notte, questa sapienza è di grande aiuto.
Ho incontrato molte persone importanti nella mia vita, ho vissuto a lungo in mezzo ai grandi. Li ho conosciuti intimamente, li ho osservati proprio da vicino. Ma l'opinione che avevo di loro non è molto migliorata. Quando ne incontravo uno che mi sembrava di mente aperta, tentavo l'esperimento del mio disegno numero uno, che ho sempre conservato. Cercavo di capire così se era veramente una persona comprensiva. Ma, chiunque fosse, uomo o donna, mi rispondeva: "É un cappello". E allora non parlavo di boa, di foreste primitive, di stelle. Mi abbassavo al suo livello. Gli parlavo di bridge, di golf, di politica, di cravatte. E lui era tutto soddisfatto di avere incontrato un uomo tanto sensibile.
C'era scritto: "I boa ingoiano la loro preda tutta intera, senza masticarla. Dopo di che non riescono più a muoversi e dormono durante i sei mesi che la digestione richiede".
Meditai a lungo sulle avventure della jungla. E a mia volta riuscii a tracciare il mio primo disegno. Il mio disegno numero uno. Era così:
Mostrai il mio capolavoro alle persone grandi, domandando se il disegno li spaventava. Ma mi risposero: "Spaventare? Perché mai, uno dovrebbe essere spaventato da un cappello?" Il mio disegno non era il disegno di un cappello. Era il disegno di un boa che digeriva un elefante. Affinché vedessero chiaramente che cos'era, disegnai l'interno del boa. Bisogna sempre spiegargliele le cose, ai grandi. Il mio disegno numero due si presentava così:
Questa volta mi risposero di lasciare da parte i boa, sia di fuori che di dentro, e di applicarmi invece alla geografia, alla storia, all'aritmetica e alla grammatica. Fu così che a sei anni io rinunziai a quella che avrebbe potuto essere la mia gloriosa carriera di pittore. Il fallimento del mio disegno numero uno e del mio disegno numero due mi aveva disanimato. I grandi non capiscono mai niente da soli e i bambini si stancano a spiegargli tutto ogni volta. Allora scelsi un'altra professione e imparai a pilotare gli aeroplani. Ho volato un po' sopra tutto il mondo: e veramente la geografia mi è stata molto utile. A colpo d'occhio posso distinguere la Cina dall'Arizona, e se uno si perde nella notte, questa sapienza è di grande aiuto.
Ho incontrato molte persone importanti nella mia vita, ho vissuto a lungo in mezzo ai grandi. Li ho conosciuti intimamente, li ho osservati proprio da vicino. Ma l'opinione che avevo di loro non è molto migliorata. Quando ne incontravo uno che mi sembrava di mente aperta, tentavo l'esperimento del mio disegno numero uno, che ho sempre conservato. Cercavo di capire così se era veramente una persona comprensiva. Ma, chiunque fosse, uomo o donna, mi rispondeva: "É un cappello". E allora non parlavo di boa, di foreste primitive, di stelle. Mi abbassavo al suo livello. Gli parlavo di bridge, di golf, di politica, di cravatte. E lui era tutto soddisfatto di avere incontrato un uomo tanto sensibile.
18 luglio 2006
UÒ UÒ (Gianna Nannini, 1981)
Quasi mi sembra un traguardo di stelle
con l'autostrada sotto la pelle
vedo arrivare quel giorno scommessa di sempre
E nel silenzio venduto alla luna
lascio negli occhi rumori lontani
lascio passare la notte pensando al domani
Uò uò uò....uò
E' che mi piace sentirmi qualcuno
scegliere un viaggio senza misura
oltre passare per sempre qualunque paura
e con le labbra aperte al mattino
con la mia giacca senza colori
tutto diventa lontano magari vicino
e qualche volta gli sputi sul viso non fanno poi male
se in fondo si sogna
Uò uò uò....uò
Quasi mi sembra un traguardo di stelle
con l'autostrada sotto la pelle
vedo arrivare quel giorno scommessa di sempre
Quasi mi sembra una stanza di mare
quasi mi sembra una vita normale
mentre sorrido contenta o faccio finta
e qualche volta gli sputi sul viso non fanno poi male
se in fondo si sogna
Uò uò uò....uò
Ecco mi basta questo sentire
ecco mi basta soltanto l'odore
di cose non dette tra tante parole....
Uò uò uò....uò
Gianna Nannini (1981)
con l'autostrada sotto la pelle
vedo arrivare quel giorno scommessa di sempre
E nel silenzio venduto alla luna
lascio negli occhi rumori lontani
lascio passare la notte pensando al domani
Uò uò uò....uò
E' che mi piace sentirmi qualcuno
scegliere un viaggio senza misura
oltre passare per sempre qualunque paura
e con le labbra aperte al mattino
con la mia giacca senza colori
tutto diventa lontano magari vicino
e qualche volta gli sputi sul viso non fanno poi male
se in fondo si sogna
Uò uò uò....uò
Quasi mi sembra un traguardo di stelle
con l'autostrada sotto la pelle
vedo arrivare quel giorno scommessa di sempre
Quasi mi sembra una stanza di mare
quasi mi sembra una vita normale
mentre sorrido contenta o faccio finta
e qualche volta gli sputi sul viso non fanno poi male
se in fondo si sogna
Uò uò uò....uò
Ecco mi basta questo sentire
ecco mi basta soltanto l'odore
di cose non dette tra tante parole....
Uò uò uò....uò
Gianna Nannini (1981)
17 luglio 2006
IL PROBLEMA NON È LA CADUTA, È L’ATTERRAGGIO… [letta su un muro]
Talvolta l’approssimarsi del baratro può essere percepito abbastanza distintamente; nondimeno il procedere può apparire necessario, la caduta ineluttabile, l’atterraggio incerto.
Cosa spinge una persona relativamente sana di mente ad incamminarsi verso il vuoto… Cito a memoria (il che , devo ammettere, non offre grandi garanzie) qualcuno degli esempi che mi vengono in mente, così, senza pensarci tanto.
La passione: l’Orimbelli de “La stanza del vescovo” di Chiara.
L’ambizione: il Grenouille de “Il profumo” di Süskind.
La noia: l’Aschenbach de “La morte a Venezia” di Mann.
Tutti esempi che finiscono male, notato?
Vorrei aggiungere anche la solitudine, ma non mi viene in mente alcun esempio.
Buona settimana?
Cosa spinge una persona relativamente sana di mente ad incamminarsi verso il vuoto… Cito a memoria (il che , devo ammettere, non offre grandi garanzie) qualcuno degli esempi che mi vengono in mente, così, senza pensarci tanto.
La passione: l’Orimbelli de “La stanza del vescovo” di Chiara.
L’ambizione: il Grenouille de “Il profumo” di Süskind.
La noia: l’Aschenbach de “La morte a Venezia” di Mann.
Tutti esempi che finiscono male, notato?
Vorrei aggiungere anche la solitudine, ma non mi viene in mente alcun esempio.
Buona settimana?
15 luglio 2006
Passione (Totò)
Passione
Sulla mia bocca ancora c'è il sapore
delle tue labbra come un fiore rosso,
l'alito profumato, il tuo calore
di questa febbre che mi hai messo addosso:
mi brucia questa febbre nelle vene
e sol per te questo mio cuore duole,
duole d'amor perché ti vuole bene:
morir d'amor per te, sol questo vuole.
Bella superba come un'orchidea,
creatura concepita in una serra,
nata dal folle amore d'una Dea
con tutti i più bei fiori della terra.
Dal fascino del mare misterioso
che hai negli occhi come calamita
vorrei fuggir lontano, ma non oso,
signora ormai tu sei della mia vita.
Come uno schiavo sono incatenato
alle catene della tua malia
e mai vorrei che fosse ahimè
spezzato il dolce incanto della mia follia.
Nota: Se "Malafemmena" è la canzone più conosciuta di Totò, tra le poesie è certamente "A livella", i cui primi versi sono apparsi nel 1953 in appendice al libro "Siamo uomini o caporali?". Il suo libro più famoso è, appunto, "A livella" pubblicato nel 1964, che raccoglieva 26 poesie che Totò aveva scritto a partire dagli anni cinquanta.
Un secondo libro dal titolo "Dedicate all'amore" venne pubblicato nel 1977, in occasione del decennale della sua morte, per opera di Franca Faldini e che raccoglieva buona parte delle poesie che Totò aveva dedicato alla compagna con cui aveva vissuto gli ultimi anni della sua vita. Da questo libro è tratta la poesia qui sopra. Altre poesie, qui => http://www.antoniodecurtis.com/
Nella foto, Totò con Franca Faldini.
Sulla mia bocca ancora c'è il sapore
delle tue labbra come un fiore rosso,
l'alito profumato, il tuo calore
di questa febbre che mi hai messo addosso:
mi brucia questa febbre nelle vene
e sol per te questo mio cuore duole,
duole d'amor perché ti vuole bene:
morir d'amor per te, sol questo vuole.
Bella superba come un'orchidea,
creatura concepita in una serra,
nata dal folle amore d'una Dea
con tutti i più bei fiori della terra.
Dal fascino del mare misterioso
che hai negli occhi come calamita
vorrei fuggir lontano, ma non oso,
signora ormai tu sei della mia vita.
Come uno schiavo sono incatenato
alle catene della tua malia
e mai vorrei che fosse ahimè
spezzato il dolce incanto della mia follia.
Nota: Se "Malafemmena" è la canzone più conosciuta di Totò, tra le poesie è certamente "A livella", i cui primi versi sono apparsi nel 1953 in appendice al libro "Siamo uomini o caporali?". Il suo libro più famoso è, appunto, "A livella" pubblicato nel 1964, che raccoglieva 26 poesie che Totò aveva scritto a partire dagli anni cinquanta.
Un secondo libro dal titolo "Dedicate all'amore" venne pubblicato nel 1977, in occasione del decennale della sua morte, per opera di Franca Faldini e che raccoglieva buona parte delle poesie che Totò aveva dedicato alla compagna con cui aveva vissuto gli ultimi anni della sua vita. Da questo libro è tratta la poesia qui sopra. Altre poesie, qui => http://www.antoniodecurtis.com/
Nella foto, Totò con Franca Faldini.
14 luglio 2006
Intimità
(...) "Mi sentivo un semplice profittatore della sua noncuranza, come (...) tanti altri [suoi amanti], quanti ne potevo immaginare nell'attimo di sospensione e quasi di paralisi che forse prende tutti nel momento che precede l'avvicinamento a un corpo femminile. Almeno la prima volta." (...)
Tratto da Piero Chiara, "Una spina nel cuore" (1979).
Ricordo quegli attimi, a volte. Non riesco a credere che siano destinati ad esistere soltanto nel passato, congelati in un tempo che non tornerà, perciò migliore. Non penso di meritarmelo. Penso che il mio miglior tempo debba essere l'oggi, perchè qui sono, vivo. Ma non sempre, poi, riesco a tradurre questo pensiero in energia quotidiana. Peccato.
Nell'immagine: Dalì, "The great masturbator" (1929)
Tratto da Piero Chiara, "Una spina nel cuore" (1979).
Ricordo quegli attimi, a volte. Non riesco a credere che siano destinati ad esistere soltanto nel passato, congelati in un tempo che non tornerà, perciò migliore. Non penso di meritarmelo. Penso che il mio miglior tempo debba essere l'oggi, perchè qui sono, vivo. Ma non sempre, poi, riesco a tradurre questo pensiero in energia quotidiana. Peccato.
Nell'immagine: Dalì, "The great masturbator" (1929)
13 luglio 2006
Alicante (Prévert)
12 luglio 2006
Numeri perfetti
Pitagora formulo' una teoria sulla magia dei numeri che si basa sulla cabala ebraica, dicendo che l'armonia della vita va ricercata nella successione dei numeri elementari. Egli riteneva che il TRE fosse il numero perfetto, dell'armonia, perché essendo l'insieme del numero 1 e del 2 racchiude in se l'armonia dell'insieme.
In realtà, il primo numero perfetto in senso matematico propriamente detto è il 6, come si può leggere qui --> http://it.wikipedia.org/wiki/Numero_perfetto
In effetti, un numero si dice perfetto quando è uguale alla somma di tutti i suoi divisori escluso sé stesso. In questo senso, il numero 6 è un numero perfetto poichè è divisibile per 1, 2 e 3 (6 = 1 + 2 + 3).
Auto-commento: ecchissenefrega.
Bhé? Che c'è? Non posso dare i numeri anch'io? Vengo lì?
In realtà, il primo numero perfetto in senso matematico propriamente detto è il 6, come si può leggere qui --> http://it.wikipedia.org/wiki/Numero_perfetto
In effetti, un numero si dice perfetto quando è uguale alla somma di tutti i suoi divisori escluso sé stesso. In questo senso, il numero 6 è un numero perfetto poichè è divisibile per 1, 2 e 3 (6 = 1 + 2 + 3).
Auto-commento: ecchissenefrega.
Bhé? Che c'è? Non posso dare i numeri anch'io? Vengo lì?
11 luglio 2006
Per età e ipocondia (Ugo Straniero?)
Per età
e ipocondria
mi sono fatto
visitare.
Non mi lasciavano
andar via
per un'ombra
dalle parti del cuore.
Ci son volute ore
e una coronarografia:
l'ombra
era il tuo nome,
scolpito nell'aorta.
Non si cancella,
non va' via.
Servirebbe un infarto,
ma i medici mi sconsigliano
questa terapia.
Tieniti il nome,
convincimi che non ci sia.
Ugo Straniero, citata da Maurizio Costanzo (che qualcuno sostiene si celi dietro a questo pseudonimo).
e ipocondria
mi sono fatto
visitare.
Non mi lasciavano
andar via
per un'ombra
dalle parti del cuore.
Ci son volute ore
e una coronarografia:
l'ombra
era il tuo nome,
scolpito nell'aorta.
Non si cancella,
non va' via.
Servirebbe un infarto,
ma i medici mi sconsigliano
questa terapia.
Tieniti il nome,
convincimi che non ci sia.
Ugo Straniero, citata da Maurizio Costanzo (che qualcuno sostiene si celi dietro a questo pseudonimo).
10 luglio 2006
Sabato visita alla mostra di Magritte a Villa Olmo (Como)
07 luglio 2006
Requiem per la pubblicità
DA LA STAMPA WEB - CULTURA
DOPO LA MORTE DELLE IDEOLOGIE, DELLA PATRIA, DEL ROMANZO, UN ALTRO LUTTO ECCELLENTE: LO ANNUNCIA A SORPRESA MAURICE SAATCHI
Requiem per la pubblicità
6/7/2006
di Paolo Martini
Ovviamente l’incipit è all’altezza della fama di un creativo che di nome fa Maurice Saatchi: «Qualche volta mi sento come se stessi sulla tomba di una cara amica chiamata pubblicità. Il rito funebre è già stato completato. Anche i becchini hanno già fatto il loro dovere. I congiunti sono riuniti. Ma la maggior parte di essi è imbarazzata ad ammettere che era amico della defunta. “Pubblicità?”, dicono, “no, non sono del mestiere”. A soli 50 anni, la pubblicità è stata fatta fuori nel fiore dell’età». Non è che l’inizio di un intervento sul Financial Times in cui il co-fondatore dell’agenzia Saatchi&Saatchi (da cui è uscito nel ’94) ha decretato «La strana morte della pubblicità moderna». E dire che, proprio grazie agli spot, Lord Maurice, un sessantenne nato a Baghdad da famiglia ebrea, sta al trecentesimo posto o giù di lì nella classifica mondiale degli uomini più ricchi.
Conservatore di nome e di fatto (ha coniato lo slogan filo-tories più acuminato, «Labour isn’t working», un gioco di parole traducibile con «al partito del lavoro non si lavora», ma anche «il Labour non funziona»), stavolta Maurice Saatchi sentenzia con furore quasi rivoluzionario che la pubblicità ormai è da buttare. Non ci sono più speranze per gli spot, spiega: è un dato ormai acquisito dalla ricerca sociologica, dalla psicologia e persino dalla neuroscienza. È dimostrato ormai che nelle nuove generazioni cresciute con la civiltà digitale si è andata radicalmente modificando la fisiologia stessa del cervello. L’uomo digitale è sveglio e reattivo come non mai, capace di esaminare più realtà contemporaneamente, ma sempre più in superficie. Scrive Saatchi: «Questo, a quanto pare, è ciò che rende possibile a un adolescente di oggi, nei 30 secondi di un normale spot tv, di: fare una telefonata, mandare un sms, ricevere una foto, giocare, scaricare un file musicale, leggere un giornale e guardare uno spot a velocità x 6. La chiamano CPA (attenzione parziale continua). Risultato: la percentuale di memoria postuma di uno spot visto il giorno prima è calata dal 35% degli Anni 60 al 10% di oggi».
Stavolta non siamo di fronte alle provocazioni filosofiche di Jean Baudrillard, che nel Sogno della merce ha teorizzato, ormai vent’anni fa, la morte della pubblicità in quanto tale, come attività di comunicazione, in un mondo in cui ciascun nostro gesto è diventato solo apparenza pubblicitaria. La botta di Saatchi viene da uno del mestiere e riguarda proprio il mondo dei mass media, ma con brillantezza viene suggerita anche una soluzione: «Dunque, dicono, sociologia, tecnologia e psicologia hanno messo la pubblicità nella bara. Se hai un business nel settore, hai un piede nella fossa. Che fare? Non resta che pregare», scrive ancora Lord Maurice sul Financial Times. «Come si conviene, una Bibbia è a tua disposizione nella bara. E siccome sei un timoroso di Dio, la sfoglierai. E, per grazia divina, ti cadrà ai piedi, aperta proprio alla pagina che può indicarti la via di salvezza. La salvezza è nel Vangelo di Giovanni: “All'inizio era il Verbo... E il Verbo era Dio”. Nessun copy avrebbe potuto scriverla meglio». In sostanza, bisogna tornare alla parola, nel senso della parola chiave da associare al proprio business, come è per esempio evidente in tutto il mondo l’abbinamento che c’è ormai tra Google e «search» (cerca). A questo punto la singola parola indovinata può essere considerata come un vero e proprio capitale: «one word equity» è l’espressione coniata da Saatchi.
Le prime reazioni degli addetti ai lavori sono ovviamente di sbandamento: «Premesse valide, conclusione insana», ha sentenziato per tutti Grant McCracken sul suo blog mediatico internazionale. «E invece il discorso sta in piedi, eccome, e soprattutto in Italia», spiega Lillo Perri, osservatore storico del mercato pubblicitario, che sul suo sito ha rilanciato per primo l’articolo di Saatchi. «Altro che il barocco imperante negli spot, la super-spettacolarità e il megamarketing! Ormai è morto un sistema, e noi lo vediamo ancor più nettamente: il mercato dei media è una sorta di monopolio assoluto di Mediaset-Publitalia, le rilevazioni ufficiali sono una truffa legalizzata, le agenzie pubblicitarie non hanno quasi più voce in capitolo con i clienti, l’impoverimento culturale domina. Insomma, ha ragione Saatchi: se c’è una speranza per la pubblicità, è tornare alla parola». Aggiunge Fausto Lupetti, editore specializzato in pubblicità: «Una volta il problema poteva essere l’affollamento, adesso è più radicale: come si può raggiungere un utente impegnato in tante attività di comunicazione contemporaneamente? Ci vuole un grande sforzo inventivo, non basta riconvertire su Internet gli spot. La pubblicità, ha ragione Saatchi, deve essere rifondata da zero».
Curiosamente, ha notato Marco Fossati sul suo blog Creative classics, anche un altro copy-leggenda, il cattivissimo e antifemminista Neil French, ha appena rilasciato un’intervista per sostenere che la pubblicità deve ripartire dall’inizio, dagli Anni Trenta, dal testo puro e semplice. «Trova la parola, e avrai trovato la salvezza. E la vita eterna» è la sentenza finale di Saatchi. «Un’analisi assolutamente da condividere», premette Eleonora Fiorani, antropologa culturale del Politecnico di Milano, autrice, tra l’altro, di una Grammatica della comunicazione. «Ma il punto da considerare, rispetto allo slogan della morte della pubblicità, è che siamo tutti comunque dentro a un grande flusso pubblicitario. Con una proliferazione di forme nuove la pubblicità ha conquistato l’ambiente in cui viviamo: magari non guardiamo più gli spot in tv, ma le città intere sono schermi, le marche si sono fatte territorio, con i concept-store, il linguaggio della pubblicità lavora sulle emozioni e persino sugli odori. Non credo proprio che tutto questo sia traducibile in parola».
DOPO LA MORTE DELLE IDEOLOGIE, DELLA PATRIA, DEL ROMANZO, UN ALTRO LUTTO ECCELLENTE: LO ANNUNCIA A SORPRESA MAURICE SAATCHI
Requiem per la pubblicità
6/7/2006
di Paolo Martini
Ovviamente l’incipit è all’altezza della fama di un creativo che di nome fa Maurice Saatchi: «Qualche volta mi sento come se stessi sulla tomba di una cara amica chiamata pubblicità. Il rito funebre è già stato completato. Anche i becchini hanno già fatto il loro dovere. I congiunti sono riuniti. Ma la maggior parte di essi è imbarazzata ad ammettere che era amico della defunta. “Pubblicità?”, dicono, “no, non sono del mestiere”. A soli 50 anni, la pubblicità è stata fatta fuori nel fiore dell’età». Non è che l’inizio di un intervento sul Financial Times in cui il co-fondatore dell’agenzia Saatchi&Saatchi (da cui è uscito nel ’94) ha decretato «La strana morte della pubblicità moderna». E dire che, proprio grazie agli spot, Lord Maurice, un sessantenne nato a Baghdad da famiglia ebrea, sta al trecentesimo posto o giù di lì nella classifica mondiale degli uomini più ricchi.
Conservatore di nome e di fatto (ha coniato lo slogan filo-tories più acuminato, «Labour isn’t working», un gioco di parole traducibile con «al partito del lavoro non si lavora», ma anche «il Labour non funziona»), stavolta Maurice Saatchi sentenzia con furore quasi rivoluzionario che la pubblicità ormai è da buttare. Non ci sono più speranze per gli spot, spiega: è un dato ormai acquisito dalla ricerca sociologica, dalla psicologia e persino dalla neuroscienza. È dimostrato ormai che nelle nuove generazioni cresciute con la civiltà digitale si è andata radicalmente modificando la fisiologia stessa del cervello. L’uomo digitale è sveglio e reattivo come non mai, capace di esaminare più realtà contemporaneamente, ma sempre più in superficie. Scrive Saatchi: «Questo, a quanto pare, è ciò che rende possibile a un adolescente di oggi, nei 30 secondi di un normale spot tv, di: fare una telefonata, mandare un sms, ricevere una foto, giocare, scaricare un file musicale, leggere un giornale e guardare uno spot a velocità x 6. La chiamano CPA (attenzione parziale continua). Risultato: la percentuale di memoria postuma di uno spot visto il giorno prima è calata dal 35% degli Anni 60 al 10% di oggi».
Stavolta non siamo di fronte alle provocazioni filosofiche di Jean Baudrillard, che nel Sogno della merce ha teorizzato, ormai vent’anni fa, la morte della pubblicità in quanto tale, come attività di comunicazione, in un mondo in cui ciascun nostro gesto è diventato solo apparenza pubblicitaria. La botta di Saatchi viene da uno del mestiere e riguarda proprio il mondo dei mass media, ma con brillantezza viene suggerita anche una soluzione: «Dunque, dicono, sociologia, tecnologia e psicologia hanno messo la pubblicità nella bara. Se hai un business nel settore, hai un piede nella fossa. Che fare? Non resta che pregare», scrive ancora Lord Maurice sul Financial Times. «Come si conviene, una Bibbia è a tua disposizione nella bara. E siccome sei un timoroso di Dio, la sfoglierai. E, per grazia divina, ti cadrà ai piedi, aperta proprio alla pagina che può indicarti la via di salvezza. La salvezza è nel Vangelo di Giovanni: “All'inizio era il Verbo... E il Verbo era Dio”. Nessun copy avrebbe potuto scriverla meglio». In sostanza, bisogna tornare alla parola, nel senso della parola chiave da associare al proprio business, come è per esempio evidente in tutto il mondo l’abbinamento che c’è ormai tra Google e «search» (cerca). A questo punto la singola parola indovinata può essere considerata come un vero e proprio capitale: «one word equity» è l’espressione coniata da Saatchi.
Le prime reazioni degli addetti ai lavori sono ovviamente di sbandamento: «Premesse valide, conclusione insana», ha sentenziato per tutti Grant McCracken sul suo blog mediatico internazionale. «E invece il discorso sta in piedi, eccome, e soprattutto in Italia», spiega Lillo Perri, osservatore storico del mercato pubblicitario, che sul suo sito ha rilanciato per primo l’articolo di Saatchi. «Altro che il barocco imperante negli spot, la super-spettacolarità e il megamarketing! Ormai è morto un sistema, e noi lo vediamo ancor più nettamente: il mercato dei media è una sorta di monopolio assoluto di Mediaset-Publitalia, le rilevazioni ufficiali sono una truffa legalizzata, le agenzie pubblicitarie non hanno quasi più voce in capitolo con i clienti, l’impoverimento culturale domina. Insomma, ha ragione Saatchi: se c’è una speranza per la pubblicità, è tornare alla parola». Aggiunge Fausto Lupetti, editore specializzato in pubblicità: «Una volta il problema poteva essere l’affollamento, adesso è più radicale: come si può raggiungere un utente impegnato in tante attività di comunicazione contemporaneamente? Ci vuole un grande sforzo inventivo, non basta riconvertire su Internet gli spot. La pubblicità, ha ragione Saatchi, deve essere rifondata da zero».
Curiosamente, ha notato Marco Fossati sul suo blog Creative classics, anche un altro copy-leggenda, il cattivissimo e antifemminista Neil French, ha appena rilasciato un’intervista per sostenere che la pubblicità deve ripartire dall’inizio, dagli Anni Trenta, dal testo puro e semplice. «Trova la parola, e avrai trovato la salvezza. E la vita eterna» è la sentenza finale di Saatchi. «Un’analisi assolutamente da condividere», premette Eleonora Fiorani, antropologa culturale del Politecnico di Milano, autrice, tra l’altro, di una Grammatica della comunicazione. «Ma il punto da considerare, rispetto allo slogan della morte della pubblicità, è che siamo tutti comunque dentro a un grande flusso pubblicitario. Con una proliferazione di forme nuove la pubblicità ha conquistato l’ambiente in cui viviamo: magari non guardiamo più gli spot in tv, ma le città intere sono schermi, le marche si sono fatte territorio, con i concept-store, il linguaggio della pubblicità lavora sulle emozioni e persino sugli odori. Non credo proprio che tutto questo sia traducibile in parola».
06 luglio 2006
Oggi visita lampo a Roma per un paio di appuntamenti
Volevo informarvi che mi sono finalmente deciso a comprarmi un pied-à-terre nel caput mundi (vedi foto). Perciò, da ora in avanti, tutte le volte che ci passerete dovrete pagare 1 Euro a mio favore per la bolletta dell'acqua. Altrimenti spengo tutto e mi porto via le statue: piuttosto me le metto in giardino. E lì vi ci piazzo una raffica di nanetti assortiti.
Un caro saluto a tutti...
Un caro saluto a tutti...
05 luglio 2006
NON CI POSSO CREDERE!!! SIAMO IN FINALE!!!
W NOI.
Non che senta di avere molto in comune con quel gruppo di multi-miliardari che si aggira in mutande per un prato morbidissimo e stra-pettinato, tirando calci ad una palla. Ma, sia sa, quando si vince si fa presto a sentirsi solidali.
E poi, contro i tedeschi, a casa loro... son soddisfazioni!
Allego foto di hooligans aggiornata, dalla quale è facile evincere che ho fatto una buona scelta, quando ho deciso di mettermi a dieta. Era ora...
Buon proseguimento!!!
Non che senta di avere molto in comune con quel gruppo di multi-miliardari che si aggira in mutande per un prato morbidissimo e stra-pettinato, tirando calci ad una palla. Ma, sia sa, quando si vince si fa presto a sentirsi solidali.
E poi, contro i tedeschi, a casa loro... son soddisfazioni!
Allego foto di hooligans aggiornata, dalla quale è facile evincere che ho fatto una buona scelta, quando ho deciso di mettermi a dieta. Era ora...
Buon proseguimento!!!
04 luglio 2006
Sempre sia il mio cuore (Cummings, 193?)
sempre sia il mio cuore aperto ai piccoli
uccelli che sono il segreto del vivere
qualsiasi loro canto è meglio del sapere
e gli uomini che non li sentono sono vecchi
sempre la mia mente vaghi affamata
intrepida assetata e agile
e anche s'è domenica il torto sia mio
ché se la gente ha ragione non è giovane
e che io non faccia mai nulla di utile
e il mio amore per te sia più che sincero
perché nessuno giammai fu così stolto
da non attirarsi con un sorriso il cielo
uccelli che sono il segreto del vivere
qualsiasi loro canto è meglio del sapere
e gli uomini che non li sentono sono vecchi
sempre la mia mente vaghi affamata
intrepida assetata e agile
e anche s'è domenica il torto sia mio
ché se la gente ha ragione non è giovane
e che io non faccia mai nulla di utile
e il mio amore per te sia più che sincero
perché nessuno giammai fu così stolto
da non attirarsi con un sorriso il cielo
03 luglio 2006
Passata la festa, gabbato lo santo...
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