QUANDO MANCA LA CULTURA DELLE REGOLE
di Marco Zingales, da Il Sole 24 Ore di Giovedì 14 Dicembre 2006
Nei raffronti internazionali sulla “misura in cui i cittadini hanno fiducia e rispetto delle regole” (quella che gli inglesi chiamano rule of law) l’Italia è solo al 48° posto, dopo Qatar, Cipro e Oman e appena siopra al Kuwait. È possibile che la nazione che si vanta di essere la patria del diritto sia diventata la tomba del rispetto della legge?
È difficile individuare un’unica causa di questo declino. Sicuramente i secoli di dominazioni e soprusi stranieri non hanno aiutato. Troppo spesso i Don Rodrigo di turno hanno trovato degli Azzeccagarbugli pronti a difendere i loro interessi a spese dei malcapitati Renzi. Siamo il paese dove i Pinocchi defraudati finiscono in prigione per aver denunciato la frode, mentre i gatti e le volpi godono, liberi, del frutto dei loro inganni.
Ma se questa triste tradizione era comprensibile in un paese terra di conquista straniera o in un neonato Stato unitario in cui solo il 2% più ricco della popolazione votava, è inaccettabile oggi, dopo sessant’anni di democrazia. È inaccettabile che le famose Authority, create peraltro con ritardo a difesa degli interessi dei cittadini, si pieghino al volere dei potenti come novelli Don Abbondio. Basta guardare come la Consob sia stata accomodante con Pirelli: esistono regole internazionali che richiedono alle società quotate di contabilizzare le proprie partecipazioni ai valori di mercato. Ma nel bilancio 2005 Pirelli riportava la partecipazione in Olimpia-Telecom ai ben più elevati valori d’acquisto. E invece di insistere su un’immediata svalutazione della partecipazione, la Consob si è accontentata di un parziale aggiustamento nel bilancio 2006. L’Antitrust non fa di meglio.[...]
Purtroppo lo stravolgimento della legge non è monopolio solo dei commissari per lo più nominati nella passata legislatura, quando l’allora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, era il più autentico interprete dell’uso della legge a fini personali. Ma è condiviso dall’attuale Esecutivo. Invece di farsi paladino del rispetto della legge a vantaggio dei deboli, il primo vero Governo di sinistra che il nostro Paese abbia mai conosciuto preferisce sovvertire ulteriormente le norme. Il pretesto è di aiutare gli afflitti, ma il fine, poi non tanto recondito, è di sostenere gli amici.
[Pensiamo, ad esempio,] ... all’indulto: votato con la scusa di alleggerire il problema carcerario, ha ulteriormente incrinato l’immagine della giustizia in Italia. Favorirà volpi come Tanzi e Fiorani, lasciando con un palmo di naso (se così si può dire) i Pinocchi risparmiatori. È la dimostrazione lampante che essere onesti in Italia non conviene, perché, a seconda dei punti di vista, o è un atto di eroismo o di stupidità. [...]
La mancanza di una cultura delle regole non è solo una questione di equità e giustizia sociale, ma anche un grosso problema economico. Un mercato senza regole si trasforma in una giungla, dove prevale il più forte. Senza il rispetto delle regole non ci può essere vera concorrenza, perché le imprese più grandi e politicamente influenti possono schiacciare qualsiasi competitore. Senza un quadro giuridico certo non c’è vera crescita economica, perché gli imprenditori hanno paura di avventurarsi in investimenti a lungo termine.
Non a caso, nei confronti internazionali sul grado di competitività (una misura complessiva delle condizioni che favoriscono lo sviluppo delle imprese) l’Italia è al 42° posto, sotto al Qatar e appena sopra all’India e al Kuwait. Ma come questi paesi dimostrano, non possiamo più giustificarci con la nostra storia. È arrivato il momento di cambiare. Ne va del futuro, non solo economico ma anche politico, del nostro paese.
19 dicembre 2006
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