10 gennaio 2019

Tanti auguri a me

Nel senso che ne ho ricevuti un bel po', in effetti. Diciamo un centinaio, statisticamente così ripartiti, grossomodo: il 10% via telefono o di persona; il 10% via Instagram; il 25% da applicazioni di messaggistica digitale (massimamente Whatsapp, pochi Messenger, pochissimi SMS); il 55% da Facebook. Certo, non si tratta di un grande campione ma testimonia l'efficacia della Rete Sociale di Marco Montedizucchero, che consegna con le sue due piattaforme i due terzi dei messaggi; efficacia che risiede, io credo, nella facilità di utilizzo, per questi fini augurali in particolare. Consente, cioè, per così dire, di compiere una piccola buona azione (fare gli auguri ad un essere umano con il quale si è avuto nella vita - tanto o poco - a che fare) con uno sforzo minimo, gratificando perciò, almeno in teoria, tanto l'emittente che il ricevente. Dico "in teoria" perché so che a qualcuno queste augurazioni digitali spiacciono: a me no. Anche se per un nanosecondo, una persona a cui sono o sono stato in qualche modo e in qualche tempo legato, da un rapporto di colleganza scolastica o professionale, di amicizia, d'amore o tutti questi insieme magari, ha rivolto il suo pensiero a me e si è presa la briga di farmelo sapere. Beh, io sono convinto che "piutost che nigot, l'è mej piutost." Per questo rispondo sempre individualmente a ciascuno dei latori dei propri auspici in occasione del mio genetliaco, poiché trovo sconveniente ed evidentemente dettato da mera pigrizia l'atteggiamento di chi, a fine giornata, decide di cavarsela con un generico "grazie a tutti, siete troppissimi per rispondervi uno ad uno": e chi diavolo sei??? Rihanna, che ha 67 milioni di follower??? Io no, io sono felice di ricambiare il vostro piccolo o grande pensiero, che mi ha fatto sinceramente piacere ricevere.
Quanto a me, poi, sono stato felice di poter festeggiare la sera con i miei due giovani uomini. E così sia.



10 dicembre 2018

Quasi un madrigale [in memoria di un blog]

Il girasole piega a occidente
e già precipita il giorno nel suo
occhio in rovina e l'aria dell'estate
s'addensa e già curva le foglie e il fumo
dei cantieri. S'allontana con scorrere
secco di nubi e stridere di fulmini
quest'ultimo gioco del cielo. Ancora,
e da anni, cara, ci ferma il mutarsi
degli alberi stretti dentro la cerchia
dei Navigli. Ma è sempre il nostro giorno
e sempre quel sole che se ne va
con il filo del suo raggio affettuoso.

Non ho più ricordi, non voglio ricordare;
la memoria risale dalla morte,
la vita è senza fine. Ogni giorno
è nostro. Uno si fermerà per sempre,
e tu con me, quando ci sembri tardi.
Qui sull'argine del canale, i piedi
in altalena, come di fanciulli,
guardiamo l'acqua, i primi rami dentro
il suo colore verde che s'oscura.
E l'uomo che in silenzio s'avvicina
non nasconde un coltello fra le mani,
ma un fiore di geranio.

Salvatore Quasimodo.

04 dicembre 2018

Mamma (Shibata Toyo, 1911-2013)

Mentre inseguivo mia madre
con in mano una girandola,
il vento era gentile
e il sole caldo.

Tranquillizzata
dal viso sorridente di mia madre
che si voltava a guardarmi
pensavo che sarei diventata adulta in fretta
e che me ne sarei presa cura.

Da tempo ho superato la sua età,
e quando adesso
vengo accarezzata
dal vento di inizio estate

sento la voce di mia madre da giovane.



15 novembre 2018

Io non ho bisogno di denaro (Alda Merini, 1931-2009)

Io non ho bisogno di denaro.
Ho bisogno di sentimenti,
di parole, di parole scelte sapientemente,
di fiori detti pensieri,
di rose dette presenze,
di sogni che abitino gli alberi,
di canzoni che facciano danzare le statue,
di stelle che mormorino all’ orecchio degli amanti.
Ho bisogno di poesia,
questa magia che brucia la pesantezza delle parole,
che risveglia le emozioni e dà colori nuovi. (...)

25 ottobre 2018

Il più bel concerto della mia vita: Terence Trent d'Arby

Sebbene nella vita, soprattutto tra i 16 e i 36 anni, abbia assistito a moltissimi concerti, tra i quali quello del Police, dei Queen, di Elton John, degli Chic, di James Taylor, di Al Jarreau, dei Dire Straits e di tantissimi artisti italiani, alcuni dei quali invero non proprio indimenticabili, il concerto che considero il più bello che io abbia mai visto fu quello che Terence Trent d'Arby (vero nome Terence Trent Howard, dal 2001 Sananda Maitreya) tenne a Milano al Teatro Nazionale proprio in data di oggi nel 1993.


Il suo album di esordio, Introducing the Hardline According to Terence Trent D'Arby, uscito nel 1987, che contiene pezzi come If You Let Me StayWishing WellDance Little SisterSign Your Name Rain, vendette più di un milione di copie nei primi 3 giorni della sua uscita e le vendite totali superarono i 12 milioni di copie. Grazie a questo album, T.T.D. vinse un Grammy Award nel 1988 per la categoria Best R&B Vocal Performance, Male, ottenendo anche 3 nomination per Migliore Album dell'anno, Migliore Singolo (Wishing Well) e Migliore Nuovo Artista (fonte Wikipedia).


Introducing the Hardline fu la colonna sonora dell'anno odioso e stupidissimo che passai nell'esercito, dal luglio 1990 al luglio dell'anno successivo. Registrato su una splendida cassetta TDK da 90' (rigorosamente normale), che aveva dall'altro lato l'album Live con i New Trolls di Anna Oxa (bizzarro accostamento ma non poi troppo), mi faceva compagnia durante gli estenuanti quanto supremamente inutili turni di guardia, contribuendo a far scorrere un po' quel tempo sospeso, di una noia mortale.

Il concerto di Milano a quanto pare fu registrato e ritrasmesso da Videomusic e lo si può trovare online: non aspettatevi, però, che quella registrazione renda l'idea della meraviglia che fu assistere dal vivo a quella performance.
Ricordo la rara intensità di quel concerto come se fosse assai più vicino dei 25 anni che sono passati. Dopo le prime canzoni ci ritrovammo tutti in piedi, a ballare scatenati. La band era in forma smagliante quella sera e TTD era vulcanico, la sua splendida voce e le sue indimenticabili melodie saturarono lo spazio relativamente angusto del Nazionale di un'energia incontenibile, che avrebbe potuto far saltare il tetto del teatro come un tappo di champagne, se non fosse stato ben ancorato al resto della struttura. 
Ok, forse esagero un pochino ma fu senza ombra di dubbio il più bel concerto a cui abbia mai assistito: a posteriori posso dire che segnò per me la fine di un'epoca spensierata. Da qualche mese avevo incominciato a lavorare nel marketing di una multinazionale e aveva preso il via la mia vita lavorativa, che si sarebbe rivelata così interessante e inaspettata. Avevo anche conosciuto e tentavo goffamente di corteggiare quella che sarebbe diventata la madre dei miei figli - mortacci miei. Ma questa è tutta un'altra storia.

26 agosto 2018

I numeri della felicità

Anche la felicità, a volte, è questione di numeri: per me il numero di passi (oltre 159.000) e di chilometri (oltre 101) percorsi insieme ai miei ragazzi quest'anno a Parigi. Grazie di questo dono.
 

Un po' delle cose che abbiamo visto.

Annecy.



Lione.


Digione.



Il museo di Camille Claudel a Nogent-sur-Seine.







Parigi.
La Tour Eiffel.

L'arco di Trionfo (notare il gruppo di statue di cui abbiamo visto il bozzetto a Digione).


Il centro Pompidou.






Il negozio di Supreme.

Place des Vosges.

La Senna e Notre Dame.


La Sainte Chapelle.

La Torre e la Statua della Libertà.

Place de la Concorde.


Place Vendôme.

L'Opéra e le Galeries Lafayette.




La Madeleine.

Il canale di Saint Martin.






Le Buttes Chaumont.


Rue de Belleville.

Giochi di specchi.

Versailles.








Pigalle.

Skatepark.
Il Pantheon.


Notre Dame, dall'altro lato.

Les Halles.

I Jardins de Luxembourg.


La Seine Musicale, teatro dell'opera.

L'Orangerie.



Troyes.


Un discorso a parte merita la tappa di Mulhouse: appuntamento al prossimo post.